28 Marzo 2024, giovedì
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“Cutrì è in Calabria” E l’indagine si allarga a un altro fratello

C’è sempre qualcosa, o qualcuno, che non torna in storie come queste. A non essere ancora tornato, per esempio, è Daniele Cutrì, 24 anni, il fratello di Domenico, l’ergastolano evaso, e di Antonino, morto in seguito al conflitto a fuoco scatenato lunedì pomeriggio davanti al tribunale di Gallarate. «E’ partito qualche giorno fa per Napoli per un po’ di vacanza», ha raccontato la madre Antonella l’altra sera ai carabinieri. E così ha confermato la sua fidanzata Alexa. Solo che di Daniele, a Napoli, si sono perse le tracce ed è al momento fortemente sospettato di aver fatto parte del commando famigliare che ha organizzato la spettacolare evasione di Domenico. Anzi, potrebbe essere rimasto ferito a sua volta ad una gamba, come risulterebbe dai racconti dei vari testimoni e delle guardie carcerarie che lunedì pomeriggio hanno risposto al fuoco. E’ lui il ragazzo che un sindacalista della polizia penitenziaria, l’altra sera, ha sostenuto improvvidamente si fosse costituito. Circostanza decisamente smentita dagli inquirenti che sembrano però aver imboccato una pista sicura che con tutta probabilità porta in Calabria, il luogo dove potrebbe essersi nascosto il gruppo di fuggiaschi.

Anche un’altra persona fino a ieri sembrava aver far perso le sue tracce, ovvero Mario Cutrì, il padre della turbolenta famigliola, qualche precedente per armi e droga, rientrato l’altra sera con il volo delle 23 a Linate proprio da Reggio Calabria e precisamente da Melicuccà, il paese natio dove era andato «da qualche giorno». Ci sono insomma una serie di circostanze ancora da chiarire nella dinamica dell’evasione di Domenico Cutrì. Gli orari, innanzitutto. C’è un buco di un’ora e mezzo abbondante dal momento dell’assalto al furgone della polizia penitenziaria, ore 14,45, al momento in cui l’auto su cui sono fuggiti i banditi è comparsa sotto l’abitazione della madre dei Cutrì, Antonella, attorno alle 16,30. Un tempo fin troppo lungo per percorrere la distanza che separa Gallarate da Inveruno, dove abitavano i fratelli Cutrì. E dannatamente pericoloso da percorrere con un’auto rapinata la stessa mattina dell’assalto verso le 11 a Bernate Ticino. E’ chiaro che durante il percorso i banditi hanno potuto cambiare vettura, con una pulita, forse guidata da un ulteriore complice. Ma non solo: è possibile che abbiano tentato di curare il ferito forse nel garage di casa, dove una perquisizione ha rilevato qualche traccia da controllare. Avrebbero insomma perso tempo prezioso per la vita di Antonino, decidendo infine di consegnarlo alla madre perché lo accompagnasse, scortata dal gruppo, all’ospedale di Magenta. E solo per una circostanza fortuita non sono stati intercettati, visto che i carabinieri inizialmente cercavano una Polo scura e non una Citroën nera.

Da capire meglio poi il motivo per cui sia stata abbandonata, piena d’armi con il colpo in canna (un fucile a pompa, uno a canne mozze e uno di precisione, più un numero imprecisato di proiettili) la Nissan Qashqai, anch’essa rubata poche ore prima dell’assalto. I banditi, scappando hanno scelto di salire, in cinque, su un’unica auto, ma non si può ancora escludere che un sesto complice abbia deciso di allontanarsi a piedi. Insomma, un’organizzazione logistica notevole che potrebbe aver ricevuto appoggi «esterni», magari di qualche ‘ndrina bisognosa di arruolare «soldati» capaci di un’azione dimostrativa come quella di Gallarate. Il tutto lascia pensare che l’assalto e la liberazione di Domenico Cutrì siano stati pianificati a lungo proprio da Antonino, che non faceva mistero di voler liberare il fratello. I banditi, ad esempio, sapevano che il tribunale di Gallarate, prossimo alla chiusura, era scarsamente vigilato, tanto che nel piazzale non erano in funzione telecamere e i cellulari penitenziari, invece di entrare dal retro, come succede in tutti i palazzi di giustizia, si fermavano davanti all’ingresso principale. Ma si tratta di polemiche a venire. Ciò che conta adesso è trovare e arrestare i fuggiaschi.

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