10 Dicembre 2024, martedì
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Quanto pesa la corruzione

La lotta alla corruzione non è solo un dovere per un paese che si definisce civile, è anche una risorsa. Con le cifre che si rincorrono è strano che
nessuna forza politica ne abbia fatto il focus del suo programma elettorale. Basti pensare che su ognuno di noi pesa una tassa occulta di 1.000 euro all’anno, neonati inclusi. Un fardello che erode e frena lo sviluppo, con un impatto non solo economico, ma di immagine, di reputazione, di fiducia, che pesa sui mercati”. La denuncia arriva da Luciano Hinna, presidente del Consiglio italiano per le Scienze sociali, economista dell’Università di
Tor Vergata tra i massimi esperti del settore pubblico, componente della Civit (la Commissione per la valutazione dell’integrità e la trasparenza della Pa), che insieme a Mauro Marcantoni, sociologo e giornalista ha appena pubblicato Corruzione (ed. Donzelli), un saggio denso che affronta un tema drammatico e purtroppo sempre molto attuale.

Professor Hinna, i casi di corruzione continuano a dilagare, a tutti i livelli. Sul malaffare è letteralmente “saltata” la prima Repubblica. Avremmo dovuto trarre insegnamento, invece le attività illecite hanno ripreso corpo e vigore più di prima. Riusciremo mai a liberarci da questo cappio che soffoca le imprese e i cittadini?
La corruzione non possiamo pensare di sconfiggerla. È come il cancro, possiamo pensare di limitarne i danni, che sono gravissimi. Il motivo è molto semplice: il fenomeno nasce ogni qual volta si manifesta un’asimmetria di potere. Chi non ha potere cerca di comprarsi la benevolenza di chi sta più in alto. La storia è piena di atti di corruzione: dalla mela di Adamo ed Eva alle indulgenze plenarie, ai sacrifici tributati all’agnello del Dio, prima della battaglia.

Se il punto cruciale è contenere il fenomeno, come vanno giudicate le strategie di contrasto che sono state messe in campo nella lotta alla corruzione?
È stato fatto ancora troppo poco. La legge 190 del 2012 è passata in extremis solo perché non sono stati previsti i reati di natura politica. In Italia, caso più unico che raro, sembra che il pesce debba puzzare dalla coda e non dalla testa. Probabilmente consapevole del ritardo, il governo Letta ha annunciato una serie di iniziative connesse alla lotta alla corruzione: finanziamento pubblico dei partiti, voto di scambio, reati sentinella, gestione trasparente delle lobbies. Tutti elementi che possono influire sulle strategie di contrasto. Ora però bisogna passare dagli annunci ai fatti.

È possibile stimare in termini certi quanto vale la corruzione?
Alcuni paesi più lungimiranti di noi hanno elaborato dei modelli matematici e sanno quotare per esempio quanto pesa la corruzione sul Pil. Noi non disponiamo di questi strumenti ed è molto grave, perché senza un termometro è impossibile capire l’efficacia della cura. Il risultato è che a vent’anni da tangentopoli ci stiamo ancora chiedendo se è più alto o più basso il livello effettivo di corruzione. Senza un metro, è difficile rispondere anche sulla stessa efficacia delle norme. Come facciamo a sapere se la legge 120 ha funzionato o no? Il fatto nuovo è che la Corte dei Conti, ” la bella addormentata” si è svegliata e da qualche anno ha fatto della lotta ai fatti di corruzione un cavallo di battaglia. Sono così cominciate a circolare alcune stime: 60 miliardi l’anno, questa la cifra resa nota dalla Corte nel 2012, con un incremento ipotizzato di circa 10 miliardi rispetto al 2011. Un numero impressionante, pari alla metà circa della corruzione stimata a livello europeo, che è di circa 120 miliardi di euro, ovvero un punto di Pil dei ventisette paesi che compongono l’Unione.

Sono cifre importanti che danno l’idea della gravità. Come reagire?
Quello che ho tratteggiato non è un quadro ancora completo. La banca mondiale ha stimato che l’industria della corruzione si può calcolare in circa un trilione (1.000 miliardi di dollari), stima ottenuta attraverso le interviste effettuate alle imprese sui pagamenti effettuati, sulle tangenti, sul denaro impiegato per garantire l’operatività delle società private e sui pagamenti per ottenere i contratti. Tale quantità non costituisce neanche la stima della corruzione globale, in quanto non comprende l’appropriazione indebita di fondi pubblici, il furto degli stessi, il riciclaggio di denaro sporco, l’evasione fiscale.

La “piccola Italia” riesce a raggiungere un livello di corruzione pari alla metà di quella stimata in Europa. Non le pare un numero poco credibile?
Sono stime che vanno prese con le molle, che andranno approfondite con nuovi strumenti di accertamento, la stessa Corte dei conti ha divulgato numeri che sono circolati sui media. Siamo nella parte sommersa dell’iceberg. Il valore dei costi diretti e accertati penalmente è enormemente inferiore, parliamo di 255 milioni di euro, significa che siamo ancora lontani da una fotografia certa del fenomeno. Il problema è semmai capire quanto costa non combattere la corruzione, quanto costa cioè l’indifferenza. Lì possiamo avere indicatori molto precisi: che riguardano le enormi difficoltà che la corruzione crea per chi fa impresa. Il mercato è un tavolo da gioco, nessuno si siede se ci sono dei “bari” che dominano, perché si crea una selezione avversa. Il risultato lo conosciamo: riduzione degli investimenti esteri, esodo delle imprese, in particolare quelle frontaliere che stanno andando tutte via dall’Italia. Le dico di più: in un paese corrotto le imprese crescono in media il 20% in meno rispetto a quelle che operano in paesi normali. In regime di monopolio la situazione peggiora. Da noi è anche piovuto sul bagnato, se pensiamo che dal 1990 ad oggi, con un tasso medio dell’1%, rappresentiamo il sistema economico che è cresciuto meno tra i trentuno paesi più industrializzati.

Quali vantaggi concreti comporterebbe una seria lotta alla corruzione?
Potremmo avere la forza dirompente di una finanziaria a costo zero prevedendo: un incremento del 16% degli investimenti esteri in Italia; uno sviluppo dimensionale del 20% delle aziende che operano nel nostro territorio; uno stop della fuga di cervelli; un aumento dell’1% della produttività della Pa, che significa un risparmio del 40% sugli appalti pubblici stimabile in circa 40 miliardi; un recupero per 30 miliardi dell’evasione fiscale. Ma forse la cosa più clamorosa è un’altra…

Il terreno di analisi non è ancora completo?
No. Se pensiamo che dal contrasto alla corruzione il settore pubblico ne guadagna in efficienza, allocazione di risorse e semplificazione burocratica, il tutto con un recupero di produttività che può valere dai 20 ai famosi 60 miliardi di cui parla la Corte dei conti. È evidente che questo governo e i prossimi devono soprattutto lavorare su questo terreno: il recupero della produttività.

L’Italia è “una e molteplice”, si legge nel saggio. Esistono un Nord e un Sud della corruzione. Non lo sapevamo già?
Non esattamente. Usciamo dai luoghi comuni. La corruzione non è legata esclusivamente ad alcuni territori, i fatti di cronaca degli ultimi tempi ci hanno fatto vedere quanto è diffusa nei più diversi contesti. Il numero ufficiale delle denunce faceva recentemente commentare a un magistrato che la corruzione si ferma ad Ancona. È infatti accaduto che dopo il picco raggiunto nel 1995, si è registrata una flessione, soprattutto al Sud del numero di denunce penali. Questo trend ovviamente inganna, c’è tanto malaffare nel Mezzogiorno che non emerge. Per citare due casi concreti: in Sicilia si è scesi da 138 condanne per reati di corruzione nel 1996 a cinque nel 2006; in Lombardia da 540 a 43. Se guardiamo ai dati ufficiali ci accorgiamo che alcune regioni del Nord, come il Trentino e la Valle D’Aosta sono poco al di sotto dei vertici della trasparenza amministrativa in Europa, mentre quelle meno virtuose, dove più alta è la penetrazione delle organizzazioni mafiose (Campania, Calabria, Sicilia), sono al livello della Bulgaria e della Romania. Un indicatore importante citerei per tutti: si sta registrando la marcia indietro di grandi multinazionali nel settore della distribuzione che sono uscite dal mercato del Sud Italia, questo perché il tavolo era inquinato dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. Significa che il Sud per il fenomeno corruttivo sta pagando un prezzo molto più alto che il Nord.

Il caso delle grandi opere colpisce in modo particolare. Quanto pesa la corruzione di questo settore sulle economie regionali più deboli?
Moltissimo. Un recente rapporto della commissione ministeriale stima il mercato degli appalti pubblici in 106 miliardi, circa l’8,1% del Pil. Come dicevo prima, il rincaro dovuto ai fenomeni corruttivi è di circa il 40 per cento. Significa che senza questa tassa si sarebbero potute realizzare tante metropolitane, tante autostrade Salerno-Reggio Calabria, il secondo binario negli asset di collegamento delle città siciliane, e molte infrastrutture critiche fondamentali per rilanciare il Mezzogiorno. Una spending review con il valore aggiunto della crescita, non mi pare poco.

Nel saggio si sostiene che la dimensione penale non basta a risolvere il problema. Cosa vuol dire in concreto?
Significa due cose essenzialmente: il sistema penale spara a salve, abbiamo il problema della prescrizione. In sei anni non si riesce ad arrivare al giudizio definitivo, significa che per corruzione nessuno andrà mai in galera. Altro aspetto: bisogna capire bene la logica di un reato chiuso, cioè di un patto scellerato che non si vede, che si è consumato tra i funzionari della Pa e il corruttore, per cui viene tradito il rapporto di agenzia, cioè il patto
tra la Pa e il dipendente. In concreto: un funzionario o un dirigente ha un mandato della pubblica amministrazione, ma finisce col non fare gli interessi dell’istituzione, che poi sono quelli della collettività. La società civile non si accorge di questo danno, perché non è immediatamente visibile. Ma quel danno è come un tumore, che non ha sintomi immediatamente visibili, ma che poi esplode, come è successo in questi anni.

La legge 190 sta dando risultati sotto questo profilo?
È uno strumento che ha il vantaggio di lavorare sul terreno della prevenzione con misure di carattere organizzativo, che però trovano un limite nella percezione culturale. È stata istituita la denuncia anonima di fatti di corruzione in tutto il mondo occidentale, per noi che abbiamo avvallato l’omertà è una novità assoluta. Nella nostra cultura abbiamo sempre pensato che chi denuncia dovesse essere additato come una spia. Lo ribadisco: l’arsenale penale non basta, occorrono iniziative da parte della società civile, bisogna ricreare un’educazione sociale sul tema corruzione. Un altro dato per tutti: su trecentomila associazioni di volontariato, pochissime trattano il tema corruzione. Ci sarà pure un motivo.

Come mai non abbiamo adeguata consapevolezza di un male così profondo e storicamente radicato?
Se andiamo a guardare gli indicatori di percezione di Trasparency International, vediamo che l’Italia è sprofondata al 72esimo posto, con un voto di quarantaquattro su cento al livello del Ghana e della Macedonia, in Europa solo la Grecia sta peggio di noi. Stima confermata dalla Banca mondiale. L’idea che sia alto il livello della corruzione c’è, quello che manca è la reazione. Siamo rassegnati, manca quella voglia di riscatto prima di tutto morale, perciò non riusciamo a cambiare marcia. Eppure abbiamo solo due-tre anni di tempo per invertire la rotta, altrimenti diverremo un’economia colombiana, dominata dai narco trafficanti.

Il sistema Italia deve dare una risposta in tutte le sue articolazioni, è evidente che non ci sono ricette facili. Nel vostro saggio c’è una formula che potrebbe essere, però utile. Possiamo in conclusione richiamarla?
La formula che proponiamo è quasi un programma di governo, non solo e non tanto una conquista metodologica. Prima di tutto ridurre i monopoli, meno monopoli uguale meno corruzione, meno discrezionalità e più trasparenza negli atti, i cittadini sono portatori di diritti e non solo di interessi, hanno diritto a sapere cosa fa la Pa per rispondere ai bisogni della collettività. Almeno questo è un passo avanti che le ultime novità normative hanno apportato. Allentare la burocrazia è un altro passo da fare, perché è un liquido entro cui la corruzione sguazza. Aumentare la cultura della legalità senza trascurare il contesto economico, è l’altro aspetto da considerare.

Vuol dire che c’è un nesso tra crisi e corruzione?
La crisi impone atteggiamenti diversi. Rubare acqua è un reato sempre, ma è ancora più grave se avviene nel deserto. Senza risorse la situazione si complica. La corruzione è tollerata per le imprese in stato di necessità, mentre vediamo un tasso di indignazione nei confronti di coloro che, corrotti, rubano risorse al paese che è allo stremo. Facciamo molta attenzione: le ultime proteste di piazza dimostrano che l’opinione pubblica non è più disposta a tollerare il malaffare. Leggi, come la 190, stanno cercando di trovare un rimedio sul piano giuridico e della prevenzione organizzativa, ma la legge è come lo spartito: se qualcuno non lo suona con la cultura della legalità diffusa, ahimè non cambierà mai nulla. – See more at: http://www.limpresaonline.net/articolo.php?id=20587#sthash.oBlrCiv6.dpuf

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