26 Aprile 2024, venerdì
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Il lavoratore promuove l'azione oltre il termine di decadenza, con motivi pretestuosi: condannato per lite temeraria

Tre lavoratrici impugnavano il trasferimento comunicato dall’azienda 8 mesi prima del deposito del ricorso, proponendo azione solo dopo essere state licenziate dalla Società convenuta e chiedendo la riassegnazione presso la precedente sede di lavoro e la liquidazione dei danni in via equitativa.
La Società si costituiva deducendo, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso per decadenza dall’azione, essendo trascorsi più di 180 giorni dalla impugnazione stragiudiziale del trasferimento prima che le lavoratrici agissero in giudizio, invocando a tal fine il combinato disposto degli artt. 6 l. 604/1966, come modificato dalla legge 92/2012 e 32 l. 183/2010.
La Società eccepiva, inoltre, la carenza di interesse ad agire delle lavoratrici con riferimento alla domanda di riassegnazione presso la precedente sede di lavoro, in ragione della intervenuta cessazione del rapporto di lavoro, nonché la manifesta inaccoglibilità della domanda risarcitoria, in difetto di specifiche allegazioni circa la natura e la quantificazione dei danni asseritamente patiti.
Il Giudice rigettava il ricorso, accogliendo anche la domanda formulata dalla Società di condannare le ricorrenti al pagamento di una somma in favore della Società a titolo di “responsabilità processuale”, ritenendo che “l’assoluta pretestuosità dei motivi di ricorso e l’insistenza – a fronte di un’eccezione di decadenza puntuale e dettagliata – nel richiamare norme di legge diverse da quelle applicabili nella specie, omettendo di citare per intero le modifiche apportate dalla l. 92/2012, conduce ad applicare… l’articolo 96, terzo comma c.p.c.”.
La sentenza sottolinea come il terzo comma dell’art. 96 c.p.c. si inserisce nel quadro delle sanzioni processuali che mirano a punire i comportamenti contrari ai doveri di lealtà processuale e può trovare applicazione sia quando il Giudice “ravvisi l’esistenza dei presupposti di temerarietà”, sia quando il Giudice “riscontri un qualsiasi comportamento processuale scorretto del soccombente, che dimostri il suo abuso dell’azione e del processo (o di segmenti di esso)”.(Trib. Roma, Sezione Lavoro, 21 novembre 2013)

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