L’Europa è circondata da instabilità e minacce, ma non ci fa caso. Dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, le istituzioni occidentali, dall’Ue alla Nato, si sono rapidamente allargate sino a ricomprendere i vecchi stati satelliti dell’Unione Sovietica, arrestandosi solo ai margini della vecchia superpotenza, con l’inclusione delle tre repubbliche baltiche.
Sguardo a sud
A sud, l’allargamento ai Balcani, tutt’ora in corso, ha contribuito potentemente a disinnescare una delle più importanti polveriere della storia, riassorbendo le terre che avevano fatto parte dell’impero romano, ma fermandosi anche questa volta ai confini della Turchia.
Tuttavia l’ottimismo prevalente in quegli anni faceva sperare che anche gli stati ex-sovietici, Russia inclusa, e la Turchia, sarebbero entrati sotto qualche forma nel nuovo grande spazio eurocentrico.
Anche gli stati della sponda sud del Mediterraneo, con varie formule di collegamento all’Ue e alla Nato, avrebbero dovuto partecipare a questo spazio, accettandone le regole e il comune destino.
Un grande disegno ambizioso, sul quale però l’Europa ha investito poco o niente, sia sul piano politico che su quello economico.
La sottovalutazione sistematica dei problemi e delle priorità della Russia ha spinto questo paese su posizioni più revansciste che cooperative, mentre la modestia degli impegni economici verso sud e la crescente chiusura politica nei confronti della Turchia, pur ansiosa di entrare a far parte della famiglia europea, hanno potentemente contribuito ai fallimenti a ripetizione della politica europea verso il Mediterraneo, sino al colpo finale infertole dalle “primavere” arabe.
Sistemi antimissili
Oggi la Russia ricatta pesantemente l’Ucraina e l’Europa, tiene sotto scacco la filo-occidentale Georgia, rompe i negoziati con la Nato sui sistemi antimissili e dispiega missili a corto-medio raggio Iskander (a testata sia convenzionale che nucleare) nel suo distretto occidentale, compresa, a quel che pare, l’enclave di Kaliningrad.
Parallelamente la Turchia, che ospita uno dei radar essenziali per il funzionamento della difesa aerea e antimissilistica europea, minaccia di acquistare sistemi antimissili cinesi, incompatibili con quelli occidentali sia sul piano dei radar che del comando e controllo.
E come se non bastasse, il governo di Ankara accresce la sua distanza dagli alleati occidentali con posizioni di stampo nazionalista o ideologiche su Israele, sulla Siria e in genere sui mutamenti in corso nel mondo arabo.
Mutamenti strategici globali
L’Africa, un tempo fortemente legata all’Europa, vede il crescere della presenza di altre potenze (Cina, India, Brasile, oltre agli Usa e alla Russia) e soprattutto l’espandersi di una fascia di instabilità, criminalità e terrorismo, un tempo confinata alla sola Somalia e ora estesa da est ad ovest a tutta la larga fascia sahariana.
L’irrisolta crisi libica, le guerre legate agli interessi minerari (dal petrolio ai diamanti e alle materie prime in genere) accrescono la conflittualità e alimentano il flusso dei profughi e dei migranti verso l’Europa.
Se a tutto questo aggiungiamo i grandi mutamenti strategici globali, della crescita della potenza cinese, anch’essa apparentemente orientata in senso fortemente nazionalista, al crescente orientamento della strategia americana verso il Pacifico, è a dir poco strano che gli europei non sembrino dedicare alcuna seria attenzione ai problemi della difesa e della sicurezza internazionale.
Eppure, malgrado numerosi esercizi sia in sede Nato (l’elaborazione di svariati “nuovi” concetti strategici) che nazionale (alcuni Libri Bianchi e altri documenti più o meno analoghi), non si è aperto alcun grande dibattito.
La riprova è nella mancanza di direzione strategica della politica estera, di sicurezza e di difesa dell’Ue, che pure era al centro dell’ultima revisione dei Trattati varata a Lisbona.
Sono state create alcune strutture operative, inclusi un “servizio di azione esterna”, una “agenzia di difesa europea”, svariati “battlegroups” e altre forme di cooperazione, sono state intraprese numerose missioni di gestione delle crisi, sia civili che militari, ci si è impegnati nei Balcani e in Afghanistan, tuttavia non si è tentato di rivedere, aggiornare e approfondire l’unico documento strategico approvato dal Consiglio Europeo il 12 dicembre del 2003, che va sotto il titolo di Strategia di sicurezza europea, ovvero “Un’Europa sicura in un mondo migliore”.
Global strategy
Quel documento presentava l’Ue come un attore globale pronto a condividere la responsabilità della sicurezza internazionale e della costruzione di un sistema di governo globale.
Nessuno ha mai rinnegato esplicitamente tali ambizioni, ma nessuno ha mai neanche tentato di renderle operative. Di più, ogni volta che è apparsa evidente la necessità di riprendere in mano quel documento per aggiornarlo, identificare le priorità strategiche e approntare i mezzi e le metodologie necessarie per applicare tale strategia di sicurezza, i paesi membri hanno rifiutato di farlo.
Ora però, il progressivo declino delle capacità militari europee e l’aggravarsi dello scenario globale, in particolare nelle regioni attorno all’Ue rendono la cosa più urgente e necessaria.
L’ottimismo che consentiva di iniziare il documento del 2003 con la frase “l’Europa non è mai stata tanto prospera, tanto sicura e tanto libera” non è più replicabile oggi.