Dopo la creazione della moneta unica europea, e dunque l’adozione di una politica monetaria unica nell’Eurozona e di una unica banca centrale europea nella Bce, l’Unione europea ha deciso di realizzare in tempi relativamente stretti – anche se saranno anni – l’Unione bancaria. Tre gli obiettivi: spezzare il legame tra il rischio-Banca e il rischio-Stato; proteggere a oltranza il risparmiatore; garantire l’uniformità delle condizioni del credito in un mercato bancario europeo ancora troppo frammentato, con le aziende italiane che pagano tassi d’interesse alle banche italiane più alti di quanto non facciano le aziende tedesche con le banche del proprio paese. L’Unione bancaria è un processo complesso. Porterà alla creazione di alcune nuove istituzioni o nella rivisitazione dei compiti di vecchie istituzioni.
L’Unione bancaria ha bisogno di una singola istituzione europea di controllo e vigilanza sulle principali banche europee (130 circa). Questo organo di controllo si chiamerà SSM (Single supervisory mechanism). Il suo compito è affidato per ora alla BCE attraverso una sua divisione ben separata dalla politica monetaria; l’SSM applicherà regole uniche di valutazione degli asset bancari, dei ratios patrimoniali e dei rischi nei bilanci bancari; in questa chiave va letta l’AQR (asset quality review), la valutazione degli asset delle principali banche europee che verrà effettuata quest’anno dalla Bce applicando criteri comuni. In questo processo, il ruolo dell’ EBA (European banking authority) potrebbe essere ridimensionato alla stesura dei dettagli tecnici di controlli stabiliti dalla Bce.
Per fare funzionare l’Unione bancaria verrà stabilito un sistema comune a tutti nell’Eurozona ma anche nell’Unione europea che consenta di aiutare o smantellare una banca in difficoltà, di salvarla ed evitare il suo fallimento, seguendo un meccanismo trasparente, semplice, chiaro, veloce uguale per tutti. Questo sistema è stato battezzato SRM (Single resolution mechanism); la governance di questo istituto è ancora tutta da scriversi. Va stabilita la modalità di voto, tenendo presente che alcuni paesi hanno più e pesi molto più elevati di altri, e le procedure di raccordo con le leggi nazionali e con gli Stati nazionali.
In futuro, grazie all’Unione bancaria, nessuno Stato europeo rischierà di fallire per colpa di un crack bancario. Questo rafforzamento strutturale della solidità degli Stati e del sistema bancario dovrebbe portare all’armonizzazione delle condizioni del credito, all’annullamento del “bias” negativo nazionale, alla fine del legame tra banche e stato e all’annullamento del contagio delle crisi che da nazionali diventano transfrontaliere. L’autorità di vigilanza unica e i nuovi requisiti di capitalizzazione dovranno funzionare come interventi preventivi, messi in atto per prevenire e quindi evitare il fallimento delle banche. Tuttavia, non si può escludere a priori il “tail risk”, il rischio di un evento straordinario capace di far saltare tutti gli schemi: per questo, l’Europa sta decidendo come intervenire per sostenere le principali banche in difficoltà oppure per smantellarle.
Per prima cosa, il conto finale non sarà più a carico dello Stato e quindi dei contribuenti. Non sono previsti, almeno per ora, interventi a fondo perduto dello Stato. Il primo passo sarà quello del bail-in, una quota di perdite verrà distribuita presso i creditori privati fino all’8% degli asset della banca in difficoltà (azionisti, sottoscrittori di obbligazioni subordinate, forse detentori di senior bond e di depositi oltre i 100.000 euro). In seconda battuta è previsto l’intervento del fondo di risoluzione a livello nazionale (costituito con versamenti dalle banche) oppure del fondo di risoluzione europeo chiamato SRF (Single resolution fund), anch’esso costituito con i versamenti delle banche. La dote di questo fondo europeo infatti dovrebbe essere costituita con le risorse provenienti dai fondi di risoluzione nazionali: operativo a regime dopo 10 anni di versamenti per un target totale di 55 miliardi di euro. La dimensione del suo intervento caso per caso è stimata attorno al 5% degli asset della banca in difficoltà. Se le risorse dell’SRF non dovessero essere sufficienti, la gestione della crisi bancaria prevede una rete di sicurezza, un “paracadute” come lo ha definito il ministro Saccomanni, un backstop comune europeo finanziato con risorse pubbliche (i soliti contribuenti) oppure con l’ESM, il meccanismo europeo di stabilità. Il backstop sarà attivato fin dal primo giorno di vita dell’SRF, nella fase transitoria di costituzione del fondo che durerà 10
anni di versamenti per un target totale di 55 miliardi di euro. La dimensione del suo intervento caso per caso è stimata attorno al 5% degli asset della banca in difficoltà. Se le risorse dell’SRF non dovessero essere sufficienti, la gestione della crisi bancaria prevede una rete di sicurezza, un “paracadute” come lo ha definito il ministro Saccomanni, un backstop comune europeo finanziato con risorse pubbliche (i soliti contribuenti) oppure con l’ESM, il meccanismo europeo di stabilità. Il backstop sarà attivato fin dal primo giorno di vita dell’SRF, nella fase transitoria di costituzione del fondo che durerà 10 anni, dopo l’operatività a pieno regime del fondo di risoluzione europeo. L’SRF potrebbe essere garantito dagli stati europei: la garanzia permetterà al fondo di finanziarsi sul mercato e di ottenere un prestito-ponte quando a corto di liquidità a cospetto di crisi bancarie pesanti. In tutti i casi, sia che abbia aiuti extra da stati, ESM o mercati, resta il fatto che il fondo di risoluzione dovrà rimborsare i prestiti ricevuti, con i contributi provenienti dallo stesso sistema bancario, quello sano.