A un anno dall’approvazione della Carta islamista, i cinquanta nuovi costituenti egiziani hanno presentato al presidente della Repubblica Adli Mansur la bozza finale della Costituzione. Anche se il dibattito si concentra soprattutto sulla comparazione con il testo del 2012 scritto dalle penne di quegli islamisti ora dietro le sbarre, il nuovo testo sembra più simile a quello del 1971 che ha regolato l’epoca mubarakiana.
Poche novità
Le novità significative sembrano poche. Il discusso art. 2 che descrive i principi della sharia, legge islamica, come la fonte primaria della legislazione, non viene toccato. Nonostante la contrarietà dei salafiti – gli unici islamisti presenti nella Costituente – sparisce però l’art. 219 del precedente testo che definiva meglio questi principi. A comparire è invece una norma che obbliga il nuovo parlamento a legiferare su un tema che è solito accendere scontri settari: la costruzione e la ristrutturazione delle chiese (art.235).
L’Egitto saluta il bicameralismo – eliminando la Shura, la camera alta – e la quota parlamentare storicamente riservata ai contadini, ma introduce una per donne e giovani nell’elezione degli enti locali.
I tribunali militari continuano a essere previsti in casi eccezionali (art. 204), così come le limitazioni ad alcuni diritti riconosciuti e tutelati – come ad esempio la libertà di stampa ( art. 71) – il cui regolamento è affidato a formule vaghe che in passato hanno lasciato margine di azione all’apparato repressivo del regime.
Vincitori e sconfitti
Prima di dichiarare vincitori e vinti bisognerà vedere quale sarà la reale applicazione del testo, ma l’intera impalcatura costituzionale mostra il rafforzamento delle istituzioni che si sono unite contro i Fratelli Musulmani: esercito, polizia e giudiziario.
La Costituzione non solo garantisce ai militari quell’autonomia che gli era già stata concessa dal testo del 2012, ma sembra trasformare le Forze Armate in un soggetto costituzionale autonomo, quasi alla pari con il legislativo o il giudiziario.
A festeggiare sono anche la magistratura – che ha guadagnato spazi di autonomia – e Al-Ahzar, istituzioni che il 3 luglio hanno applaudito alla deposizione per mano militare di Mursi.
La massima autorità dell’islam sunnita è infatti sollevata dall’eliminazione della norma presente nel testo del 2012 che prevedeva un suo intervento sulle questioni relative alla sharia. Articolo scomodo per un’istituzione religiosa che non intende giocare lo stesso ruolo del clero iraniano.
I primi, ma non unici, sconfitti del nuovo testo sono gli islamisti della Fratellanza Musulmana, destinati a rimanere fuori dai giochi visto che è stata vietata la formazione di partiti fondati sulla religione (ar.74).
Futuro nebuloso
Anche se è stata criticata per la sua lunghezza, la Costituzione non fornisce risposte a questioni tecniche su quanto dovrà accadere dopo l’approvazione del testo costituzionale attraverso un referendum che si terrà il 14 e 15 gennaio.
Secondo la dichiarazione dell’8 luglio scorso, dopo il referendum ci sarebbero state elezioni parlamentari e, infine, presidenziali. Ciononostante, per uscire dallo stallo nel quale erano entrati non trovando accordo sugli articoli relativi al sistema elettorale, i costituenti hanno deciso di passare la palla al presidente della Repubblica che dovrà ora decidere da dove iniziare.
Mansour ha novanta giorni di tempo dopo l’approvazione – quasi scontata – della costituzione per indire una delle due elezioni. Tre mesi dopo si tornerà alle urne per completare il percorso.
Vista l’impreparazione dei partiti, non è da escludere che il presidente decida di invertire la scaletta della Road Map, cercando nel volto del suo successore consenso e coesione nazionale. Ciononostante, anche tale passaggio è tutt’atro che scontato visto che la (pop) star del momento, il capo delle forze Armate e ministro della difesa Abdel Fattah el-Sisi, non ha ancora ceduto alle insistenti richieste di buona parte degli egiziani non islamisti che lo vogliono incoronare presidente della nuova epoca.
Referendum
Quello che però è certo è che gli elettori che parteciperanno al referendum non esprimeranno una loro valutazione del testo: finora la maggioranza dei partiti civili si è schierata sul fronte del sì ed è probabile che solo una minima parte di quanti criticano la Costituzione si presenti alle urne.
Come avvenne per il referendum sugli emendamenti costituzionali del marzo 2011 e per la Costituzione del 2012, dalle urne uscirà un voto al percorso intrapreso dalle forze ora alla guida del paese. Molti di quanti vogliono mostrare che quello avvenuto il 3 luglio non è un colpo di stato voteranno sì a prescindere dalla loro reale valutazione del testo.