Il segnale inviato dai mercati con la quotazione in borsa di Twitter è stato forte e chiaro. Strappando verso l’alto nel giorno dell’Ipo fino a toccare valori massimi vicini al 100% di rialzo rispetto al valore di collocamento, il titolo della società di microblogging più conosciuta e utilizzata al mondo ha segnalato che occorre iniziare a leggere i titoli legati alla tecnologia con lenti diverse da quelle che troppo spesso si limitano a valutare i fenomeni del settore con l’utilizzo dell’opzione binaria bolla/non bolla. Certamente i valori borsistici di Twitter sono da capogiro e lasciano aperti molti dubbi sulla effettiva capacità di questa impresa di produrre utili futuri adeguati a giustificare tale livello di valorizzazione e di capitalizzazione. Ma è anche vero che nel caso di Twitter il mercato sta scommettendo, almeno in parte, su opzioni reali che Twitter ha in sé e che sono valorizzabili in maniera diversa rispetto ad altri titoli della cosiddetta digital economy. In particolare la piattaforma è vista come un componente potenzialmente unico per distribuire e commercializzare contenuti editoriali. Twitter ha per il mondo dell’editoria digitale il fascino e le potenzialità di upside che l’Amazon dei primi passi aveva per l’e-commerce. Sbagliava allora chi relegava la valutazione della piattaforma e del modello di business della società fondata da Jeff Bezos alla sola commercializzazione dei libri e dei Cd, sbaglia oggi chi considera Twitter uno strumento di intrattenimento informativo o una chat breve per scambiare opinioni volatili. Twitter non è un social media, ma una piattaforma tecnologica in grado di commercializzare tutta una serie di contenuti a valore aggiunto che i suoi ormai quasi quattrocento milioni di utilizzatori nel mondo potranno decidere di consumare o meno. E Twitter, se agirà bene, ha maggiori potenzialità di creare barriere all’entrata a difesa del suo modello di business e del suo ebitda rispetto alle Facebook o alle Groupon.