27 Luglio 2024, sabato
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Il re dei videopoker che imbarazza Letta

Porsia (Hbg) finanziò il premier nel 2004. Ora è indagato, ma il governo gli fa lo sconto.

A mettere in fibrillazione il governo spunta lo sponsor imbarazzante del presidente del Consiglio Enrico Letta. Antonio Porsia oggi è a capo di Hbg, uno dei dieci colossi del settore giochi e videopoker che in Italia grazie al boom dei giochi online guadagnano più dello Stato (9,7 miliardi contro 8,7). Martedì Porsia su Italia1 ammette alle Iene che nel 2004 avrebbe dato – personalmente, la Hbg non c’era ancora – 15mila euro a Enrico Letta, allora candidato della Margherita alle Europee. Lo staff di Letta lo aveva sempre negato: sì, in passato, Sisal e Lottomatica (altri due colossi del settore) hanno dato in tutto 20mila euro alla Fondazione VeDrò, che fa capo al premier, ma mai a Letta jr. E Letta? L’inviato delle Iene Filippo Roma, mercoledì sera, raggiunge il premier alla presentazione del libro di Pier Luigi Bersani, Giorni bugiardi: «È vero che ha ricevuto 15mila euro da Porsia?». Letta bofonchia: «Sinceramente non ho idea, però le darò una risposta puntualissima. Andrò a rivedere tutti i conti perché è tutto pubblico». In effetti non ci sarebbe nulla di male, visto che il finanziamento era alla luce del sole. Ma adesso Porsia è sotto inchiesta con l’ipotesi di frode fiscale: per i pm romani Pierfilippo Laviani e Giuseppe Deodato Hbg avrebbe trasferito all’estero (in particolare in Lussemburgo) il patrimonio societario per aggirare il Fisco. E come se non bastasse il governo ha concesso alle società del gioco d’azzardo (Hbg compresa) un maxi sconto sui debiti contratti con l’Erario, scesi dai 98 miliardi calcolato dalla Corte dei Conti a poco più di 700 milioni.

Per fare ordine bisogna tornare al Duemila, quando grazie al governo di Massimo D’Alema scoppia la Bingo mania. E proprio Porsia, scrive nel 2010 il Secolo XIX, è il manager che per primo capisce «le potenzialità del tombolone del nuovo millennio» e apre «diverse sale al Sud». Lui, goriziano di origine, casualmente «negli anni Novanta si era fatto notare dal mondo politico nella segreteria dell’ ex ministro del Lavoro Tiziano Treu», ministro del governo D’Alema I. Coincidenze. Dopo il Bingo tocca ai videopoker, che dalle mani della criminalità organizzata passano a quelle dello Stato, a patto che siano collegati con il cervellone centrale gestito dalla Sogei, la società di servizi informatici del ministero dell’Economia, per verificare che il 75% di quanto incassano venga restituito al giocatore. Qualcuno, però, fa il furbo. Delle 200mila macchinette ne sono collegate solo 130mila. E la Corte dei Conti, nel 2008, stabilisce in 98 miliardi (50 euro per ogni ora di mancato collegamento) il giusto risarcimento che lo Stato avrebbe dovuto pretendere dai re delle slot machine come Atlantis/B-plus («Che fa capo all’ex latitante Francesco Corallo, figlio di Gaetano Corallo, sospettato di essere stato anni fa in affari con il clan Santapaola», ricorda Dagospia), Cogetech, Snai, Lottomatica, Cirsa, Codere, Sisal, Gmatica, Gamenet e appunto Hbg, che dovrebbe pagare 11 miliardi. Il 17 febbraio 2012 la Corte dei conti condanna le concessionarie e due dirigenti dei Monopoli a risarcire 2,5 miliardi (150 milioni alla sola Hbg). Letta, a caccia di soldi per scongiurare il ritorno dell’Imu sulla prima casa, fa lo sconto: bastano 700 milioni. I signori dei videpoker ringraziano.

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