Il 62% dei tax manager delle più importanti imprese internazionali è coinvolto in qualche forma di controversia fiscale. È quanto emerge da un sondaggio internazionale coordinato da Kpmg e illustrato nel corso del convegno organizzato ieri mattina da ItaliaOggi al Centro svizzero di Milano, in collaborazione con lo stesso studio di consulenza legale e tributaria. Un rapporto fisco-contribuente che diventa quindi sempre più pericoloso, soprattutto in Italia, dove basta veramente poco per rischiare l’incriminazione penale, a volte anche per violazioni di un euro. Tanto che nemmeno l’accertamento con adesione elimina il rischio che i vertici dell’azienda siano chiamati a rispondere davanti a un procuratore. Anzi, spesso proprio la possibile rilevanza penale della fattispecie viene sfruttata dall’Agenzia delle entrate per raddoppiare i termini per l’accertamento. In realtà se il problema ha risvolti drammatici nel Belpaese, in tutto il mondo, negli ultimi anni, soprattutto dopo il 2008, la materia fiscale è stata oggetto di un’attenzione quasi ossessiva da parte dei media, dei legislatori, dell’opinione pubblica.
Una pianificazione fiscale che, nel 70% dei casi è stata formalmente approvata dal consiglio di amministrazione. «Tax is sexy», dicono gli anglofoni, non certo nel senso che pagare le tasse sia piacevole, ma nel senso che è diventato un argomento di moda, uno di quelli che accende l’attenzione nei talk show. I motivi sono evidenti. A seguito della crisi finanziaria del 2008 tutti i governi sono stati costretti a stringere i freni fiscali per far fronte ai finanziamenti necessari per evitare default finanziari.