La tragedia di Lampedusa, consumatasi poco prima che il Segretario generale aprisse a New York la Conferenza delle Nazioni Unite su migrazione e sviluppo, pone nuovamente al centro del dibattito la complessa gestione dei flussi migratori via mare. Questa è resa ancora più difficile dalla presenza di flussi misti, di migranti per motivi di asilo e per motivi economici. Ancora una volta l’Europa è invocata sia come grande assente nei momenti di emergenza, sia come causa delle pressioni migratorie alle quali l’Italia deve far fronte, in quanto Paese di frontiera esterna. Ma è proprio così? La nuova ondata di sbarchi sulle coste siciliane rimette al centro del dibattito il diritto d’asilo. Si ripropone quindi la questione della normativa che lo regola a livello italiano ed europeo e degli strumenti con cui l’Unione può aiutare i Paesi membri sottoposti a forti pressioni migratorie alle frontiere.
Condizioni di povertà estreme e cambiamenti climatici possono rendere obbligata anche la scelta della migrazione economica, così che lo Stato di approdo diventa, di fatto, uno Stato di rifugio. Tuttavia il diritto di asilo non può essere utilizzato per dare risposte a problemi di carattere strutturale, a crisi di tipo economico, sociale, ambientale.
Deve essere ancorato ad una nozione che vede nel pericolo subito da una singola persona il presupposto essenziale, mentre le crisi strutturali devono essere affrontate con adeguati strumenti, prima di tutto con massicci investimenti di cooperazione allo sviluppo.
L’Italia e la politica dell’Ue
È stato solo grazie all’obbligo di attuazione della normativa europea che l’Italia si è finalmente dotata di un vero e proprio sistema di asilo, con la previsione di procedure, organi specializzati e standard minimi di accoglienza.
D’altra parte, come Stato di frontiera esterna dell’Ue e, spesso, primo porto di arrivo dei richiedenti asilo secondo il “regolamento Dublino”, l’Italia è sottoposta ad una pressione maggiore alle proprie frontiere rispetto a quanto non sarebbe se tale ingresso non coincidesse anche con l’ingresso nell’area Ue.
Tuttavia il numero assoluto di richiedenti protezione internazionale in Italia nel 2012 è stato di gran lunga inferiore a quello degli altri grandi Paesi dell’Ue. Parliamo di 17.350 domande, corrispondente al 5% del totale delle richieste presentate in Europa, contro il 23% assorbito dalla Germania, il 18% dalla Francia e il 13% dalla Svezia.