di Michele Imperio
Ricordate i dileggi sul salvataggio di Alitalia disposto nel 2008 dall’ex premier Silvio Berlusconi, su sollecitazioen dell’ex ministro Raffaele Fitto?
Ebbene correva l’anno 2008 e la nostra compagnia di bandiera era sull’orlo del fallimento. Air France-Klm propose di rilevarla offrendo allo Stato italiano l’acquisto di azioni di minoranza per un controvalore di 140 milioni di euro, investimenti per un miliardo di euro nell’azienda, l’accollo di 1,4 miliardi di euro di debiti. In tutto quindi 2,540 miliardi di euro. Il ministro dell’Economia dell’epoca, Tommaso Padoa-Schioppa, s’era rassegnato alla soluzione francese, dicendo di sentirsi «come il guidatore di un’ambulanza che sta correndo per portare il malato nell’unica clinica disposta ad accettarlo».
Ma il sovranista e autonomista Silvio Berlusconi si oppose, come sempre faceva quando c’era di mezzo la Francia, accusò la sinistra di voler «svendere» l’Alitalia ai francesi, ne fece il tema dominante della sua campagna elettorale e in uno con la critica alla monnezza di Napoli vinse le elezioni (santa monnezza), superate le quali respinse al mittente l’offerta di Ayr France, mise in liquidazione la vecchia Alitalia e diede vita a una nuova Alitalia guidata da Roberto Colaninno (D’Alema). e composta da altri soci imprednitori italiani amici suoi. Il disegno però non sarebbe andato a buon fine senza l’appoggio determinante del futuro ministro Corrado Passera, il quale collocò la sua Banca Intesa-San Paolo (Elkan-Agnelli) in prima fila fra gli azionisti. Ma i tre commisero un errore. Lasciarono che Alitalia continuasse a essere un’azienda romana che operava su un hub romano anziché trasformarla in un’azienda milanese che avrebbe operato su un hub milanese (Malpensa) . Per cui a cinque anni di distanza, i nodi sono tornati al pettine. Nonostante 3,2 miliardi di investimenti dei capitani coraggiosi, Alitalia è tornata a essere un’azienda piena di debiti. E Ayr France è tornata alla carica. Vuole di nuovo acquistare Alitalia ma questa volta senza spendere soldi. Perchè nella crisi generale che travolge l’euro e l’Europa anche Ayr France ora ha problemi. In Francia ha già allontanato 5 mila dipendenti e ora ne sta tagliando altri 3 mila. Di fronte all’opinione pubblica francese non potrebbe permettersi il lusso di non usare la stessa scure anche in Italia. Anche perchè la società è pubblica in quanto appartiene alla società francese dei depositi e prestiti.
E quindi mentre prima tutti i giornali stavano a dire che Berlusconi sbagliava, che Prodi era nel giusto perchè bisognava vendere ad Ayr France, ora invece tutti si sono messi a dire: vade retro Ayr France! Tutti o quasi tutti: perché c’è un signore che ancora continua a tifare per Ayr France. Questo signore è il noto europeista Letta Enrico premier dell’attuale governo e garante insieme agli altrettanto noti Napolitano Giorgio, Amato Giuliano, Draghi Mario, Boldrini Laura e Monti Mario tutti ai vertici dello Stato, degli interessi degli squali francesi, tedeschi e americani.
Anzi c’è di più! Non solo il Letta vorrebbe cedere Alitalia ai francesi ma vorrebbe pure che il secondo salvataggio della compagnia lo paghino i contribuenti italiani. Una contrapposizione netta quella fra Letta e il resto dello schieramento politico dalla quale potrebbe venir fuori una crisi di governo ancor più rovinosa e acida di quella che voleva procurare Silvio Berlusconi.
Ma esaminiamo più dettagliatamente le singole posizioni. Tra quelli che non vogliono più Ayr France prima di tutto si sono fatte strda ragioni strategiche di rilievo nazionale. Se Air France riuscisse ad impadronirsi di Alitalia – si dice – trasformerebbe la nostra compagnia in una società satellite regionale che servirebbe a imbarcare passeggeri in Italia (bacino potenziale di 60 milioni di persone) per destinarle a Parigi onde poi farli salire sugli aerei Air France diretti verso tutti gli altri scali intercontinentali. Air France più Alitalia in posizione ancillare, si rafforzerebbe come terzo polo europeo dei voli aggiungendosi a British-Iberia e Lufthansa-Sas.
Poi c’è l’atteggiamento di Ayr France verso l’aeroporto romano di Fiumicino. Alcune settimane fa Aeroporti di Roma (gruppo Benetton), la società che gestisce gli scali capitolini e che ha interessi (dopo diremo quali) nel raddoppio dell’aeroporto, ha messo nero su bianco la grande paura: se Alitalia dovesse finire nelle mani francesi, il Leonardo da Vinci sarebbe ridimensionato e non avrebbe più senso l’ampliamento, con tutto ciò che ne consegue. in questo “ciò che ne consegue” vi sono principalmente due cose. Da un lato la grande delusione del gruppo Benetton (una volta P.R.I. oggi P.D.) e del binomio Montezemolo-Renzi (sempre P.D.) i quali da un lato sono ansiosi di vedere raddoppiare l’aeroporto di Fiumicino sui terreni di proprietà delle due famiglie (Montezemolo e Benetton), dall’altro controllando, i Benetton, Aeroporti di Roma, la società che gestisce lo scalo di Fiumicino, hanno bisogno che su Fiumicino Alitalia continui a convogliare gli scali internazionali, usandolo come “hub”, e non diversificando i voli internazionali su altri hub, primo fra tutti quello di Parigi.
Dall’altro lato c’è il problema del diretto e dell’indotto romano. Air France non nasconde affatto la sua intenzione di voler entrare da padrona in Alitalia ma a condizioni definite dallo stesso amministratore della compagnia Alexandre de Juniac “molto severe”. Gli ambasciatori della compagnia hanno illustrato queste intenzioni una decina di giorni fa al Letta durante un incontro a Palazzo Chigi di cui non è stata data alcuna comunicazione e in cui non erano presenti gli altri azionisti della compagnia. Secondo indiscrezioni circolate nei giorni successivi, i francesi riterrebbero che in Alitalia ci siano 4 mila dipendenti di troppo su 14 mila e venti aerei da lasciare a terra .
E’ chiaro quindi che l’economia locale ne risentirebbe pesantemente perché il sindacato ha calcolato che per ogni milione di passeggeri scattano 1000 posti di lavoro nell’indotto». E se venissero messi a terra venti aerei, si perderebbero di colpo circa 5 milioni di passeggeri, quindi altri 5 mila posti di lavoro nell’indotto, più quelli diretti, cioè dentro Alitalia.
La compagnia del resto già negli ultimi anni ha ridotto sensibilmente la forza lavoro (e anche le retribuzioni medie dei dipendenti): oggi i dipendenti Alitalia sono 12 mila (a fronte dei 18 mila di pochi anni fa), di cui 1200 in Cassa integrazione o comunque sotto ammortizzatori sociali.
Il taglio dei voli di Alitalia potrebbe poi causare un pericoloso effetto domino: meno lavoro nella compagnia, meno lavoro nell’indotto, meno soldi all’economia del territorio. Se poi salta il piano di ampliamento di Fiumicino ciò avrebbe importantissime ricadute sull’occupazione romana: 250 mila posti di lavoro in vent’anni. Se calano i volumi di traffico, per tagli all’operatività di Alitalia, diminuiscono anche gli introiti di Aeroporti di Roma e quindi la capacità di investimento della società di gestione.
«L’economia di Roma e del Lazio, già colpita duramente dalla crisi, non può permettersi di perdere Alitalia o di vederne ridotta l’operatività – dice Claudio Di Berardino della CGIL-, tanto più in un periodo in cui anche le vicende di Telecom rischiano di portare alla perdita di 5-6 mila posti di lavoro nel territorio. Per questo noi chiediamo che venga istituito un tavolo fra Regione, Roma Capitale, Comune di Fiumicino e parti sociali per lanciare un appello al governo e chiedere 3 cose: prima di tutto di impedire il fallimento, poi di trovare una soluzione in cui chiunque intervenga per salvare la compagnia non ponga condizioni capestro; e infine che si prenda seriamente in considerazione una forma di intervento pubblico per tutelare Alitalia, che non va vista come una semplice azienda, ma è un patrimonio di tutti ed è vitale per l’economia del territorio e del Paese».
Anche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti (D’Alema) si è rivolto al governo (Letta) con un appello per scongiurare il declassamento di Alitalia a compagnia regionale, con tutto quello che ne consegue. Appelli destinati a rimanere inascoltati. Vediamo perchè.
C’è in verità una proposta che rilancerebbe Alitalia come compagnia nazionale che è quella di Moretti manager di successo delle Ferrovie il qaule ha azzerato l’immane debito delle Ferrovie e ha ripoortato in attivo (500 milioni di euro l’anno) l’ex azienda di Stato.
Ma Moretti pone precise e rivoluzionarie condizioni e precisamente:
1. dove c’è l’alta velocità, gli aerei non devono volare, partendo dalla Roma-Milano (essendo ormai dei doppioni del’alta velocità);
2. Alitalia va riposizionata sul medio raggio tra grandi poli metropolitani, per esempio Napoli-Parigi, e soprattutto sul lungo raggio verso il Medio e l’Estremo Oriente.
3. Servono stazioni ferroviarie e aeroporti intercontinentali ben collegati”.
Una bella idea che riposizionerebbe i tanti aerei della tratta Roma-Milano su altri territori che sono compltamente sprovvisti di collegamenti aerei pur avendo dispoonibili gli aeroporti come per esempio Taranto e Foggia. E Roma continuerebbe a essere centrale.
Seguono poi altre condizioni.
4. isolare in una società a se stante la parte di Trenitalia che lavora a prezzi di mercato e dedicarla agli aerei.
5. nemmeno un euro agli attuali soci di Alitalia compresa Air France. Insomma Ferrovie entra nel capitale e gli altri fanno la loro parte o le loro quote comnprese quele di Air France scenderanno”.
Racconta Antonella Baccaro (Corriere della Sera) che di fronte a questa proposta il Letta è apparso un pò spiazzato. E ha replicato così: 1. i soci dovranno deliberare un aumento di capitale più importante di quello già disposto che induca Air France-Klm a esserci; 2. Air France-Klm resta comunque un partner internazionale indispensabile; 3. quanto al soggetto pubblico destinato a entrare nel capitale di Alitalia, è ancora da scegliere, restando aperte tutte le ipotesi. (Cassa depositi e prestiti, Fintecna, F2i, e poi anche Ferroivie). Tuttavia è apparso fermo e irremovibile su un punto:
“Non faremo nulla senza l’impegno di tutti i soci, compresa sopratutto Air France-Klm”.
Air France. Air France. Air France.
Uhm………..sento odore di nuova crisi di governo………..e questa volta con le dimissioni non più soltanto dei ministri di Berlusconi, ma anche di altri……………………….
Michele Imperio