1 Dicembre 2025, lunedì
HomeConsulente di StradaEnergia, imprese e il nuovo realismo che l’Europa non può più ignorare

Energia, imprese e il nuovo realismo che l’Europa non può più ignorare

Mentre il World Energy Outlook 2025 riporta i piedi per terra, l’Europa scopre che la sicurezza energetica supera gli slogan della transizione: senza infrastrutture, tecnologie mature e costi sostenibili, il rischio è sacrificare imprese e competitività.

A cura di Salvatore Guerriero – Presidente Nazionale di PMI INTERNATIONAL

Viviamo in una fase storica in cui la lucidità vale più dell’ideologia. Le imprese — soprattutto le piccole e medie — sono quotidianamente esposte alle oscillazioni dei costi energetici, agli effetti di decisioni politiche troppo spesso scollegate dalla realtà industriale e alla competizione con Paesi che non applicano le stesse rigidità normative dell’Europa.

Oggi la sicurezza energetica non è solo una priorità geopolitica: è una condizione di sopravvivenza economica. Continuare a immaginare una transizione “a colpi di slogan”, senza infrastrutture adeguate, senza tecnologie mature e senza sostenibilità economica, rischia di penalizzare le nostre imprese, comprimere gli investimenti e indebolire il tessuto produttivo italiano.

La transizione ecologica deve essere fatta, e dobbiamo farla bene. Ma deve essere una transizione che accompagna, non che punisce. Una transizione che sostiene chi produce, non che lo sacrifica. È con questo spirito, con realismo e visione pragmatica, che dobbiamo leggere i nuovi scenari energetici globali.

Il World Energy Outlook 2025 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia è una lettura che mette fine a molte illusioni. Riporta i piedi a terra e costringe governi e imprese ad affrontare un quadro profondamente diverso da quello raccontato per anni. Il mondo che immaginavamo per il 2050 è stato ridisegnato con una brusca dose di realismo.

Per lungo tempo si è pensato che l’abbandono dei combustibili fossili fosse un processo quasi lineare, un passaggio naturale verso un futuro più pulito. Ma oggi la priorità globale non è più la lotta al cambiamento climatico, infatti è tornata, prepotente, la sicurezza energetica. Non per disaffezione verso l’ambiente, ma per necessità. Senza energia continua, competitiva e sicura, un Paese non cresce, non produce, non mantiene la propria sovranità industriale.

La svolta non è solo nei numeri ma è culturale, politica e geopolitica.

Il termine “climate change”, che per un decennio ha dominato le narrative globali, scivola sullo sfondo. Al suo posto emerge la “energy security” cioè il nuovo, vecchio mantra del mondo reale.

Le crisi internazionali degli ultimi anni hanno mostrato con crudezza ciò che molti fingevano di non vedere cioè che l’energia è un’arma geopolitica a tutti gli effetti. E nelle sale dei vertici globali, dove si moltiplicano dichiarazioni solenni e impegni condivisi, ogni Stato finisce per tornare prima di tutto a garantire energia ai propri cittadini e alle proprie imprese.

Purtroppo le previsioni aggiornate al 2050 disegnano una realtà che capovolge dieci anni di retorica:

Gas Naturale: +40% rispetto alle stime precedenti

Carbonio: +55%

Petrolio: +22%

Rinnovabili: -10%

Alla faccia del “picco del petrolio”, che continua a slittare.

Il mondo ha sete di energia e la domanda cresce soprattutto nei Paesi che stanno accelerando industrializzazione e sviluppo come l’India, l’Indonesia e molte economie africane. In queste aree, l’obiettivo è produrre, crescere, competere. E per farlo si usano soprattutto gas e carbone, perché sono disponibili, economici e continui.

Le rinnovabili avanzano, ma non abbastanza da sostenere il fabbisogno globale.

Possiamo registrare che si sta affermando la rivincita degli investimenti fossili.

Un altro dato cruciale riguarda gli investimenti. Per anni si è sostenuto che il futuro fosse nella fine delle esplorazioni e dei nuovi giacimenti. Oggi l’Agenzia Internazionale dell’Energia sostiene che, entro il 2035, saranno necessari 25 milioni di barili al giorno provenienti da nuovi progetti per compensare il declino naturale dei pozzi attuali.

È il trionfo della old economy.

E questo non perché manchi la volontà di transizione, ma perché il sistema mondiale — industria, mobilità, produzione — è ancora lontano dall’essere alimentato solo da energia verde.

Quindi l’Europa resta intrappolata in una tensione irrisolta. Da un lato c’è il desiderio di guidare la transizione globale, dall’altro un sistema produttivo che non può sostenere a lungo costi energetici più alti e regole più rigide rispetto ai concorrenti internazionali.

Se il mondo utilizza energia a basso costo e noi, per idealismo, paghiamo di più, rischiamo di diventare meno competitivi senza incidere realmente sulle emissioni globali. È un paradosso che colpisce imprese, famiglie, trasporti, industria pesante, export.

In particolare l’Italia non può permettersi una transizione che indebolisce chi produce ricchezza.

Dobbiamo insistere sull’innovazione, sulle rinnovabili, sulla ricerca. Ma dobbiamo farlo con pragmatismo, evitando divieti autolesionisti e mantenendo prezzi dell’energia compatibili con la concorrenza globale.

Una transizione che non tiene conto del sistema industriale è una transizione che fallisce.

Il nuovo scenario globale non sancisce la fine della sostenibilità.

Sancisce la fine dell’illusione che basti la volontà politica per farla funzionare.

Il mondo, oggi, ci manda un messaggio semplice e inequivocabile:

non basta avere buone intenzioni. Serve energia. E serve subito.

Chi saprà garantirla con intelligenza, equilibrio e visione guiderà il futuro economico del pianeta.

Sponsorizzato

Ultime Notizie

Commenti recenti