Roma – “Il maschio non accetta la parità, il suo codice genetico fa resistenza.” Con questa affermazione, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha suscitato un acceso dibattito durante il suo intervento alla Conferenza internazionale contro il femminicidio. Le sue parole, che riflettono una visione evoluzionista della disuguaglianza di genere, sono state accolte con reazioni contrastanti, sollevando interrogativi sulla comprensione delle radici psicologiche e culturali della violenza di genere e della persistente dominanza maschile nella società.
Un’interpretazione darwiniana del maschilismo
Nordio ha scelto di affrontare il tema della violenza di genere attraverso una lente storica ed evolutiva, partendo da un’osservazione che ha il sapore di una riflessione sociobiologica: “Io mi sono sempre chiesto, da modesto studioso anche di storia, come mai siamo arrivati a questa prevaricazione continua, ininterrotta, secolare, millenaria, dell’uomo nei confronti della donna.” La sua analisi, che si rifà in parte alla teoria darwiniana della selezione naturale, propone una spiegazione basata sulla forza fisica come criterio di superiorità che ha contraddistinto la società umana fin dagli albori della civiltà.
“Nel corso della storia”, ha proseguito il Ministro, “l’unico criterio di forza era quello della forza muscolare, e poiché la natura ha dotato i maschietti di una forza maggiore rispetto alle femminucce, questo criterio ha fatto da fondamento al cosiddetto maschilismo.” Secondo Nordio, la predominanza maschile, seppur oggi formalmente ridotta grazie ai diritti acquisiti dalle donne, sarebbe ancora radicata nei meccanismi psicologici e fisiologici degli uomini, che continuano a nutrire una certa resistenza alla parità. “Anche se oggi l’uomo accetta, e deve accettare, questa assoluta parità formale e sostanziale nei confronti della donna”, ha affermato, “nel suo subconscio, nel suo codice genetico trova sempre una certa resistenza.”
La sedimentazione millenaria del maschilismo
Il concetto di “sedimentazione millenaria” è stato il cuore del discorso di Nordio, il quale ha spiegato che le disuguaglianze di genere non sono semplicemente il frutto di tradizioni culturali e sociali, ma rappresentano una sorta di imprinting evolutivo difficile da estirpare. “Questo processo di sopraffazione e di superiorità si è sedimentato nella mentalità dell’uomo in modo talmente profondo che è difficile rimuoverlo”, ha detto il Ministro, suggerendo che, nonostante i progressi legislativi e sociali, il “codice genetico” maschile riservi ancora resistenze a un cambiamento completo. La convinzione che i maschi, nella loro natura, portino con sé una resistenza strutturale al cambiamento, pur accettando la parità su base formale, ha portato Nordio a sostenere che sia necessario un intervento deciso sia sul piano legale che educativo.
“La legge è fondamentale”, ha dichiarato il Ministro, “ma è altrettanto cruciale intervenire sull’educazione, per rimuovere dalla mentalità dei maschietti questa sedimentazione millenaria di superiorità.” Secondo Nordio, l’approccio deve essere integrato: accanto alla repressione e alla prevenzione, è necessario un lavoro psicologico ed educativo che, come suggerito da esperti in altri ambiti (come psicologi, ipnotisti e psicanalisti), possa liberare gli uomini da questa “tara mentale”, paragonata da Nordio a un trauma adolescenziale che necessiterebbe di un trattamento consapevole.
Polemiche e reazioni
Le dichiarazioni del Ministro hanno suscitato un ampio dibattito. Da un lato, molti esperti e attivisti per i diritti delle donne hanno accolto con favore l’invito a un cambiamento culturale profondo, riconoscendo la necessità di un’educazione che sfidi gli stereotipi di genere radicati fin dall’infanzia. Dall’altro lato, le parole di Nordio sono state criticate per la loro apparente giustificazione della violenza di genere come una sorta di “fenomeno naturale”, innestato nel nostro codice genetico. In particolare, la sua affermazione che “il maschio non accetta la parità” ha alimentato polemiche, sollevando dubbi sulla sua visione della psiche maschile e sulla responsabilità individuale nella perpetrazione della violenza.
Le opposizioni hanno contestato l’idea che le leggi e l’educazione possano essere sufficienti senza una presa di coscienza collettiva riguardo la gravità della violenza di genere. Alcuni hanno ritenuto le sue parole troppo riduttive, accusandolo di non riconoscere che la violenza contro le donne non è solo il risultato di una “resistenza” biologica e ancestrale, ma anche di un contesto sociale, politico e culturale che spesso perpetua e giustifica questa violenza.
In particolare, il riferimento a una “tara mentale” derivante da un trauma adolescenziale è stato considerato da alcuni come un tentativo di spiegare in termini troppo psicologici e deterministici un problema strutturale che affonda le sue radici in secoli di discriminazione sociale, politica ed economica.
L’importanza dell’educazione e della legge
Nonostante le polemiche, l’intervento di Nordio ha avuto il merito di porre l’accento su un aspetto fondamentale: la necessità di agire su più fronti per contrastare la violenza di genere. Se la legge è senza dubbio essenziale per punire i crimini, altrettanto importante è l’approccio educativo che, sin dai primi anni di vita, deve insegnare la parità, il rispetto e la non violenza. L’educazione è vista come uno strumento per sradicare le radici culturali del maschilismo e per impedire che le future generazioni crescano con la convinzione che la violenza contro le donne sia in qualche modo giustificabile.
Nordio ha concluso il suo intervento con una riflessione sulla responsabilità di ogni individuo nella costruzione di una società più giusta e paritaria. Seppur criticato per il suo approccio, il Ministro ha ribadito l’importanza di un’azione integrata e sistemica per affrontare il problema della violenza di genere, che non può essere relegato a una questione puramente legislativa o psicologica, ma deve diventare una priorità sociale condivisa.
Il discorso di Carlo Nordio alla Conferenza internazionale contro il femminicidio non ha mancato di suscitare riflessioni profonde, non solo sul fenomeno della violenza contro le donne, ma anche sulla sua radicata persistenza. Se la sua interpretazione evolutiva del maschilismo ha fatto discutere, ha anche avuto il merito di portare alla luce la complessità della lotta per la parità di genere, che passa attraverso un cambiamento culturale profondo, in cui l’educazione gioca un ruolo fondamentale. La questione rimane aperta, con molti interrogativi su come riuscire davvero a rimuovere le barriere che ancora separano uomini e donne, e su come combattere una violenza che, purtroppo, è ancora ben radicata nella nostra società.
