15 Novembre 2025, sabato
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Meloni archivia la patrimoniale: “Ricette tardo comuniste”. Ma la difesa dei paperoni continua

La presidente del Consiglio respinge ogni ipotesi di tassazione sui grandi patrimoni e rilancia la narrativa del governo che “aiuta i ceti medi”. Ma tra filippiche ricorrenti, avvertimenti di Bankitalia, Istat e Ufficio parlamentare di bilancio e critiche dell’opposizione, resta il sospetto che l’esecutivo continui a proteggere più i forti che i vulnerabili.

Giorgia Meloni torna ad alzare le barricate contro la patrimoniale e lo fa con uno dei registri a lei più congeniali, quello del contrasto ideologico. “Le ricette bizzarre e tardo comuniste non passeranno”, afferma la presidente del Consiglio, liquidando in poche battute qualsiasi proposta di intervento sui grandi patrimoni. Un mantra che si ripete da mesi, quasi un riflesso condizionato, e che il governo oppone anche davanti ai rilievi sollevati non solo dall’opposizione, ma da organismi ben più refrattari alle logiche del dibattito politico, come Bankitalia, Istat e Ufficio parlamentare di bilancio.

Nel suo intervento, Meloni contesta con forza l’accusa secondo cui la Manovra favorirebbe i più abbienti. “Dicono che questa Manovra favorisce i ricchi e davvero ci vuole molta immaginazione, e anche un po’ di coraggio, a sostenere una tesi del genere”, attacca. Poi rivendica l’intervento sul taglio dell’aliquota per i redditi compresi tra 28 e 35 mila euro. “La sinistra si straccia le vesti perché staremmo aiutando i ricchi. Come se chi guadagna 2.500 euro al mese, ha un mutuo, magari mantiene tre figli e paga le bollette fosse da considerare un magnate da colpire”.

Il punto, però, è un altro. E Meloni, con la consueta verve da tribuna politica, sembra ignorarlo o preferisce far finta di non coglierne la portata. Perché le obiezioni sollevate da Bankitalia, Istat e dall’Upb non riguardano certo il presunto accanimento contro il ceto medio, ma la progressiva riduzione della capacità redistributiva del sistema fiscale. Gli organismi indipendenti, sia nelle audizioni sia nelle analisi tecniche, hanno suggerito una maggiore attenzione ai redditi più alti e ai patrimoni consistenti come via per consolidare i conti pubblici senza comprimere la domanda interna né erodere il potere d’acquisto dei redditi più deboli.

Eppure il governo tira dritto, difendendo l’indifendibile secondo l’opposizione, e respingendo ogni ipotesi di contributo straordinario o permanente sui grandi patrimoni. Una linea che diventa ancora più rigida quando si affronta il tema dell’equità fiscale, come se il solo evocare l’idea di una maggiore progressività fosse un attentato alla libertà economica.

La premier si concentra sulla narrazione del ceto medio schiacciato, ma evita accuratamente di entrare nel merito delle valutazioni tecniche che segnalano come gli interventi messi in campo dall’esecutivo producano effetti limitati proprio per quella fascia di contribuenti, lasciando invece ai contribuenti più in alto un beneficio proporzionalmente maggiore. Una dinamica che gli osservatori istituzionali hanno definito “regressiva”, ma che il governo ignora con ostinazione, continuando a schermare i grandi patrimoni come se fossero una specie rara da tutelare.

Alla fine resta l’impressione che la premier combatta soprattutto battaglie simboliche, brandendo la minaccia di un comunismo immaginario mentre gli organismi tecnici sventolano dati ben reali. E che, tra una filippica e l’altra, la scelta sia quella di non disturbare chi sta davvero in alto, nel timore che una tassa sui patrimoni possa incrinare l’immagine di un esecutivo che promette rigore, ma che sembra avere una certa inclinazione a proteggere i paperoni del Paese.

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