28 Ottobre 2025, martedì
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Minerali strategici e alleanze globali: gli Stati Uniti siglano con l’Australia un’intesa sulle terre rare

Il presidente americano Donald Trump annuncia dalla Casa Bianca un accordo con il primo ministro australiano Anthony Albanese: accesso garantito a minerali critici e terre rare, per rafforzare la filiera industriale statunitense e ridurre la dipendenza dalla Cina

WASHINGTON – Un patto strategico, dal peso geopolitico ed economico ben oltre la cortina formale della diplomazia. È stato Donald Trump, tornato alla guida degli Stati Uniti, ad annunciare dalla Casa Bianca la firma di un accordo bilaterale con l’Australia sul commercio e l’approvvigionamento di minerali critici e terre rare, settori chiave per l’industria tecnologica, militare ed energetica.

“Abbiamo negoziato questo accordo per quattro o cinque mesi. Oggi lo firmiamo, è un grande passo avanti”, ha dichiarato il presidente, accogliendo nello Studio Ovale il premier australiano Anthony Albanese, in visita ufficiale a Washington.

Dietro a quella stretta di mano, molto più di un semplice patto commerciale: si tratta di un’operazione strategica a tutto campo, che mira a rafforzare il fronte occidentale nel pieno della contesa economica con Pechino, oggi ancora leader nella raffinazione e nella fornitura globale di queste risorse.

Minerali critici, snodo tecnologico e politico

L’intesa riguarda le cosiddette critical minerals, materiali indispensabili per la produzione di batterie, microchip, turbine eoliche, veicoli elettrici e strumentazioni militari. In cima alla lista ci sono litio, nichel, cobalto, grafite, ma anche le terre rare, un gruppo di 17 elementi chimici utilizzati in applicazioni ad alto contenuto tecnologico.

L’Australia è oggi uno dei principali produttori mondiali di molte di queste materie prime, e l’accordo firmato con Washington rappresenta per gli Stati Uniti una svolta nella strategia di diversificazione delle fonti di approvvigionamento, riducendo la storica dipendenza dalla Cina, che ad oggi detiene una posizione dominante soprattutto nella raffinazione di questi materiali.

Secondo fonti vicine alla Casa Bianca, l’accordo prevede investimenti reciproci, facilitazioni per le esportazioni e cooperazione scientifica e industriale, con l’obiettivo di integrare le catene di fornitura e sviluppare impianti di lavorazione negli Stati Uniti.

La stretta di Pechino e la risposta occidentale

Il tempismo dell’intesa non è casuale. Nelle scorse settimane, Pechino ha ulteriormente irrigidito le proprie politiche di esportazione su alcuni metalli strategici come il gallio e il germanio, fondamentali per il settore dei semiconduttori. Una mossa interpretata come una risposta diretta alle restrizioni imposte dagli Stati Uniti su chip e tecnologie avanzate, e che ha riacceso i timori globali per la tenuta delle filiere industriali.

La partnership con Canberra permette a Washington di mettere in sicurezza l’accesso a materie prime considerate vitali non solo per l’economia, ma anche per la difesa nazionale. Come ha sottolineato lo stesso Trump, tra i temi trattati nel vertice con Albanese figurano anche dazi commerciali, sottomarini e forniture militari, a dimostrazione di quanto l’accordo sulle terre rare sia solo un tassello di una cooperazione più ampia.

Un’alleanza che parla la lingua della sicurezza

L’intesa si inserisce anche in un contesto più ampio di consolidamento dell’alleanza strategica tra Stati Uniti e Australia. I due Paesi sono già uniti nel patto di sicurezza AUKUS, insieme al Regno Unito, volto a contrastare l’influenza cinese nell’area indo-pacifica.

Oltre alla cooperazione su intelligence e difesa, l’accordo sulle terre rare segna un rafforzamento del pilastro economico di questa alleanza. È un segnale chiaro: l’Occidente intende costruire filiere indipendenti e resilienti, pronte a reggere anche scenari di frammentazione globale.

Per Canberra, la partnership con gli Stati Uniti rappresenta un’opportunità per valorizzare le proprie risorse naturali e accrescere il proprio peso geopolitico. Per Washington, è una carta in più per contrastare l’ascesa tecnologica cinese e proteggere la propria industria nazionale in settori chiave.

Un asse minerario per il futuro digitale

Sullo sfondo, resta la consapevolezza che i minerali critici non sono soltanto “materie prime”, ma snodi centrali delle economie del futuro. Senza di essi non c’è transizione energetica, non ci sono auto elettriche, non c’è digitalizzazione né innovazione militare.

L’intesa tra Stati Uniti e Australia, dunque, non è solo una questione di miniere, dazi o diplomazia bilaterale. È una dichiarazione d’intenti sull’architettura del potere globale, che sempre più si gioca sulle risorse invisibili ma essenziali, come le terre rare.

Mentre la Cina mostra i muscoli con la leva delle esportazioni, l’Occidente cerca di costruire un’alternativa solida, resiliente e cooperativa. E in questo schema, l’Australia emerge come partner strategico di prima fascia, capace di offrire risorse, stabilità e affidabilità.

Un patto firmato alla Casa Bianca, ma pensato per le sfide di un ordine mondiale in trasformazione.

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