Emergono particolari sempre più inquietanti sull’omicidio di Alessandro Venier, il 35enne ucciso a Gemona del Friuli (Udine) e smembrato all’interno della villetta di famiglia dalla madre Lorena e dalla compagna Mailyn Castro Monsalvo.
Secondo gli atti giudiziari e le registrazioni raccolte dai carabinieri, la dinamica del delitto si muove tra confessioni immediate e ritrattazioni, pressioni psicologiche e tentativi di autodenuncia, fino alla pianificazione meticolosa dell’omicidio e della successiva distruzione del corpo.
La confessione di Mailyn ai carabinieri e il silenzio successivo
Mailyn Castro Monsalvo, 30 anni, all’arrivo dei carabinieri chiamati da lei stessa, avrebbe ammesso il proprio coinvolgimento nell’omicidio, compiuto insieme alla suocera Lorena. Parole nette, che i militari hanno registrato e che il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto “pienamente utilizzabili”.
Poco dopo, però, la giovane si è chiusa nel silenzio, sopraffatta – spiegano le carte – da una depressione già presente e aggravata dal delitto. La sua voce, nelle prime ore, aveva squarciato il muro di omertà che la suocera tentava di erigere, salvo poi spegnersi sotto il peso di sensi di colpa e fragilità.
I tentativi di chiedere aiuto al 112
Gli atti ricostruiscono due chiamate al numero d’emergenza. La prima, nella notte del 31 luglio, venne manipolata: Mailyn, inizialmente decisa a denunciare quanto accaduto, fu convinta da Lorena a riferire di presunti “rumori sospetti” in casa, trasformando l’autodenuncia in un semplice equivoco.
La seconda telefonata, nella mattina successiva, si concluse invece con il coraggio di dire la verità. Fu allora che i carabinieri intervennero e raccolsero le prime confessioni, confermate dalle registrazioni.
Le pressioni della suocera
Determinante appare il ruolo di Lorena Venier, 58 anni, che nella notte e nelle ore successive telefonò più volte alla nuora per dissuaderla dal confessare. Frasi come “Mailyn, ricordati quanto ti voglio bene” – intercettate dai militari – assumono il peso di una strategia di pressione psicologica, mirata a contenere la portata di quanto stava per emergere.
Lorena non fu solo presente al delitto, ma ne fu parte attiva anche nella fase successiva, mostrando lucidità e capacità di gestire Mailyn, fragile e combattuta tra il silenzio e la volontà di parlare.
Il racconto agghiacciante dell’omicidio
È la stessa Lorena, nelle sue dichiarazioni, a ricostruire i momenti della morte del figlio. Il 26 luglio, attorno alle 21.30, mentre la loro bambina piangeva in un’altra stanza, Mailyn avrebbe iniziato a strangolare Alessandro con i lacci degli scarponi.
Lorena racconta di essersi allontanata per occuparsi della nipote, tornando poi per completare l’azione. Prima dello strangolamento definitivo, la vittima avrebbe assunto un blister di sonniferi sciolto in una bevanda, subito due iniezioni di insulina e un tentativo di soffocamento con un cuscino. Un crescendo di mezzi che, secondo gli inquirenti, denota una volontà precisa di portare a termine l’omicidio.
La premeditazione e l’acquisto della calce
Dalle parole di Lorena emerge anche il carattere premeditato del delitto. Già settimane prima era stata acquistata online della calce viva, destinata a ridurre gli odori e a ostacolare il riconoscimento del corpo.
La decisione di uccidere, secondo la madre, maturò di fronte al progetto del figlio di recarsi in Colombia. Lorena temeva che potesse fare del male a Mailyn e alla neonata, richiamando episodi di violenza pregressa. Nelle sue giustificazioni, l’omicidio sarebbe stato un gesto “per salvaguardare” la nuora e la bambina, un movente che non attenua la crudeltà del piano.
Lo smembramento del corpo
Dopo la morte di Alessandro, Lorena prese un coltello e poi una sega da legna per smembrare il corpo. Un’operazione brutale e lunga, complicata dalla resistenza delle ossa e della colonna vertebrale.
Mailyn, sebbene meno coinvolta nelle fasi materiali, partecipò al trasporto dei resti nel bidone dietro la rimessa e si occupò di versare la calce. L’intera sequenza si concluse attorno all’una di notte.
Un delitto che interroga
La vicenda di Gemona del Friuli è oggi uno dei casi più complessi e drammatici della cronaca nera italiana. Non solo per l’atrocità dell’omicidio e dello smembramento, ma anche per la dinamica psicologica che lega madre e nuora, entrambe coinvolte in un crimine che appare insieme premeditato e segnato da un intreccio di paure, fragilità e manipolazioni.
Le registrazioni raccolte dai carabinieri e ritenute utilizzabili dal gip rappresentano ora un tassello decisivo nel processo, restituendo la crudezza di confessioni spontanee e la lucidità con cui Lorena descrive l’accaduto.
Un delitto che continua a scuotere, perché dietro la violenza e la pianificazione si intravede la frattura di un legame familiare, consumato nel silenzio di una villetta di provincia e spezzato in modo irreparabile.