A cura di Daniele Cappa
C’è qualcosa che cresce spontaneamente nelle nostre città. Non parliamo di erbacce, ma di indifferenza. Di quella sottile ma pervasiva assuefazione al “si è sempre fatto così”, anche quando quel “così” fa male. A Vercelli, cuore agricolo del Piemonte, circondata da risaie e incorniciata dalle Alpi, è spuntata una decisione che ha lasciato molti con l’amaro in bocca — e, si teme, qualche sostanza tossica nel piatto.
La giunta comunale ha deciso di reintrodurre l’uso del glifosato, un erbicida ampiamente discusso e tutt’altro che innocuo, per la manutenzione del verde pubblico. La motivazione? Praticità e costi. Ma la realtà, come spesso accade, è un po’ più velenosa.
Un erbicida da milioni di polemiche
Il glifosato è il pesticida più usato al mondo. Sviluppato dalla Monsanto e commercializzato con il noto marchio Roundup, è entrato nei campi e nei cortili di mezza umanità dagli anni ’70. È efficace, certo. Ma anche dannoso.
Nel 2015, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), organismo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo” (gruppo 2A). Non si tratta di un’opinione ambientalista: sono evidenze raccolte su dati epidemiologici, test di laboratorio, studi su animali.
Secondo una meta-analisi pubblicata nel Mutation Research nel 2019, l’esposizione prolungata al glifosato è associata a un aumento del 41% del rischio di sviluppare linfomi non-Hodgkin. Altri studi lo collegano a danni al DNA, alterazioni ormonali, malattie renali croniche e disturbi neurologici. L’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) e l’ECHA (l’Agenzia europea per le sostanze chimiche), pur adottando una linea più cauta, hanno comunque riconosciuto la necessità di limitare l’esposizione.
Eppure, l’Unione Europea ha deciso di prorogarne l’autorizzazione per altri 10 anni. I motivi? Economici, soprattutto. Troppi interessi in gioco, troppa chimica nel cuore del sistema agroindustriale europeo.
Vercelli, la città che diserba sé stessa
In questo contesto, il caso Vercelli è emblematico. In una città dove l’aria è già appesantita dall’inquinamento agricolo e industriale, l’amministrazione comunale ha scelto di spruzzare glifosato in città. Non è una metafora: si tratta di diserbo chimico urbano.
La decisione, poco pubblicizzata ma concretamente operativa, ha sollevato un’ondata di indignazione. Così è nato, quasi per rigetto spontaneo, il comitato “NO Glifosato Vercelli”, un’alleanza inconsueta di associazioni ambientaliste, cittadini, partiti di opposizione e rappresentanti istituzionali. Per una volta, il diserbo ha fatto crescere partecipazione civica.
Il Comune, colto di sorpresa, ha provato la ritirata strategica: “Non abbiamo deciso nulla, sarà il consiglio comunale a valutare”. Ma il consiglio, al momento della verità, ha preferito guardare altrove. Le argomentazioni sono state al limite del surreale: “Tanto il glifosato si usa già in agricoltura e sulle ferrovie”. Come dire: siccome ce lo trovi nel piatto, tanto vale respirarlo anche in piazza.
Ma le alternative esistono (e funzionano)
La narrativa del “non possiamo farne a meno” non regge più. Diverse città italiane — come Bolzano, Firenze, Milano, Trento — hanno già vietato o drasticamente ridotto l’uso del glifosato nei centri urbani, preferendo soluzioni meccaniche (spazzole rotanti, vapore caldo), tecniche termiche e metodi ecocompatibili.
E no, non costano di più. Al contrario: secondo uno studio dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), le tecniche alternative, se ben pianificate, risultano più efficaci nel lungo periodo, richiedono meno manutenzione correttiva e non espongono la cittadinanza a rischi inutili.
Il mito del diserbante “economico” crolla di fronte ai costi sanitari, ambientali e sociali che ne derivano. L’erbaccia si toglie, il linfoma resta.
Una raccolta firme per riprendersi la città
Il comitato non si arrende. Ha lanciato una raccolta firme (qui il link: form online), con banchetti fisici e digitali, rivolta non solo ai residenti, ma anche a chi lavora, studia o semplicemente vive Vercelli. L’obiettivo è chiaro: fermare questa deriva tossica, riportare il buonsenso — e un po’ d’aria pulita — nelle strade cittadine.
Quello che accade a Vercelli riguarda tutti. Perché la salute pubblica è un bene collettivo, non un fastidio amministrativo.
E se un tempo si diceva che il silenzio è d’oro, oggi sappiamo che il silenzio — sul glifosato — può essere velenoso.
Del resto, la salute non ha prezzo.
A Vercelli, invece, qualcuno pare averne fissato il listino. E ha persino previsto lo sconto comitiva.