Milano – Si chiude con una pesante condanna il processo che ha scoperchiato l’intreccio tra violenza, criminalità organizzata e tifoserie ultrà delle due principali squadre milanesi. Il giudice per l’udienza preliminare Rossana Mongiardo ha inflitto 10 anni di reclusione ad Andrea Beretta, ex capo della Curva Nord interista e collaboratore di giustizia, e altrettanti a Luca Lucci, storico leader della Curva Sud rossonera. Entrambi giudicati con rito abbreviato, entrambi ritenuti responsabili di reati gravissimi: omicidio, tentato omicidio e associazione per delinquere.
La sentenza è il punto culminante di un’inchiesta che ha fatto tremare gli spalti di San Siro, smascherando una rete opaca di potere, minacce, pestaggi, traffici e silenzi all’interno dei gruppi organizzati delle tifoserie milanesi. Un mondo che, dietro la passione per il calcio, celava logiche paramilitari, vendette interne e legami inquietanti con ambienti mafiosi.
Il delitto Bellocco e le ombre della ’ndrangheta
Andrea Beretta, classe 1974, ex volto carismatico della Nord e da tempo collaboratore di giustizia, è stato condannato per l’omicidio di Antonio Bellocco, anch’egli dirigente della tifoseria interista e, secondo gli inquirenti, figura vicina a un noto clan di ‘ndrangheta. L’agguato mortale, avvenuto in un contesto mai chiarito del tutto, è stato inquadrato nell’ambito di un regolamento di conti interno alla curva, con dinamiche che richiamano da vicino quelle della criminalità organizzata.
Per Beretta, la pena tiene conto anche dell’accusa di associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa. Una rete che avrebbe coinvolto non solo esponenti delle tifoserie, ma anche ambienti criminali esterni, rafforzando il sospetto – già emerso da anni – che alcuni settori del tifo organizzato abbiano finito per trasformarsi in vere e proprie cellule autonome di potere, con regole proprie e codici di omertà.
Il tentato omicidio nella curva Sud
Stessa condanna, ma diverso il contesto, per Luca Lucci, classe 1980, volto noto della curva milanista e già al centro di numerosi episodi controversi. Lucci è stato ritenuto mandante del tentato omicidio di Enzo Anghinelli, anche lui esponente del tifo organizzato rossonero. Il fatto risale a una violenta spedizione punitiva orchestrata all’interno del giro milanese degli ultrà, emersa nel corso dell’indagine come parte di un più ampio sistema di intimidazioni e lotte per il controllo della curva.
Anche per Lucci, oltre al reato di tentato omicidio, è arrivata la condanna per associazione a delinquere: secondo l’accusa, era alla guida di un gruppo strutturato, capace di condizionare la vita interna della tifoseria, ma anche di gestire affari illeciti attraverso l’intimidazione e la violenza.
Il processo e gli altri filoni
Il procedimento si è sviluppato in più filoni, ognuno dedicato a specifici episodi emersi nel corso di indagini complesse condotte dalla Digos e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano. L’indagine ha disegnato un quadro fosco e dettagliato: un sottobosco di criminalità che si muoveva sotto la copertura delle curve, utilizzando lo stadio come base operativa e le rivalità calcistiche come alibi per faide personali e regolamenti di conti.
Il rito abbreviato ha consentito sconti di pena, ma non ha cancellato la gravità delle accuse né la portata del fenomeno emerso: la giustizia ha certificato l’esistenza di sodalizi criminali operanti all’interno delle curve, con ramificazioni che vanno ben oltre il calcio.
Un duro colpo alle curve di San Siro
Con la sentenza di oggi, si chiude una pagina buia per le tifoserie organizzate di Inter e Milan, ma si apre al tempo stesso un interrogativo su come impedire che le curve tornino a essere terreno fertile per derive criminali. Per le istituzioni sportive e per le società calcistiche, la sfida ora è duplice: garantire la sicurezza negli stadi e difendere la passione del tifo dalla sua degenerazione più pericolosa.
Nel frattempo, il nome di San Siro – tempio del calcio italiano – finisce per l’ennesima volta nelle cronache giudiziarie. Ma stavolta non per gli scontri tra tifosi, bensì per la definitiva caduta di due figure simbolo di un potere che sembrava intoccabile.
