Kiev – La guerra in Ucraina si combatte anche sul terreno della diplomazia e degli equilibri internazionali, e ora Volodymyr Zelensky lancia un’accusa diretta: una fornitura di 20mila missili destinati alla difesa ucraina, promessi da Washington, sarebbe stata bloccata e reindirizzata in Medio Oriente per volere dell’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
La dichiarazione arriva nel corso di un’intervista rilasciata alla rete americana ABC News, rilanciata poi da Rbc-Ukraine, e accende i riflettori su uno snodo cruciale nei rapporti tra Kiev e il suo principale alleato occidentale. Secondo quanto riferito da Zelensky, i missili – fondamentali per abbattere i droni kamikaze lanciati ogni giorno dall’esercito russo – erano stati concordati con l’amministrazione statunitense, ma a seguito di una revisione delle priorità strategiche, sarebbero stati destinati ad altri scenari, in particolare al fronte mediorientale.
Una scelta geopolitica che pesa su Kiev
«Avevamo un accordo per ricevere 20mila missili – ha affermato Zelensky – ma la decisione è stata rivista. Sono stati inviati in un’altra direzione, e non verso l’Ucraina». Il riferimento, pur senza nomi espliciti, è chiaramente rivolto a Donald Trump, oggi tornato protagonista sulla scena politica americana in vista delle presidenziali, e che avrebbe influenzato – secondo Zelensky – la redistribuzione delle risorse militari statunitensi.
Non è la prima volta che da Kiev giungono segnali di frustrazione per un supporto militare percepito come incostante. Ma stavolta l’accusa ha un peso politico ben più rilevante: coinvolge direttamente un ex presidente USA che potrebbe tornare alla Casa Bianca, con posizioni più ambigue sull’impegno americano in Ucraina rispetto all’amministrazione Biden.
Difesa aerea sotto pressione
Per l’Ucraina, la mancata fornitura non è una semplice nota diplomatica: si traduce in una concreta difficoltà operativa sul campo. I missili attesi sarebbero stati impiegati per rafforzare lo scudo antiaereo, in particolare contro l’ondata di droni Shahed di fabbricazione iraniana utilizzati dalle forze russe per colpire infrastrutture civili ed energetiche.
«Ogni giorno siamo bersaglio di attacchi dal cielo – ha sottolineato Zelensky – e ogni missile che non arriva in Ucraina significa vite perse, centrali distrutte, blackout nelle città». La difesa aerea resta una delle priorità assolute per Kiev, che chiede con urgenza sistemi moderni, batterie Patriot, munizioni per l’artiglieria e supporto tecnologico.
Equilibri fragili nella politica americana
Le dichiarazioni di Zelensky arrivano in un momento di grande incertezza per la politica estera americana. Con le presidenziali all’orizzonte e un Congresso diviso sul tema degli aiuti all’Ucraina, l’attuale sostegno militare e finanziario a Kiev rischia di diventare merce di scambio politico. Trump ha più volte criticato l’entità degli aiuti a Zelensky, spingendo per una visione più isolazionista e suggerendo la possibilità di negoziati con Mosca.
«Non possiamo combattere con promesse – ha concluso Zelensky –. Servono impegni concreti e forniture certe. Ogni esitazione si traduce in un vantaggio per Putin».
Una tensione che svela quanto la guerra in Ucraina, pur combattuta nelle trincee del Donbass, si giochi anche nelle stanze della politica occidentale. E quanto il futuro del conflitto dipenda, sempre più, dagli umori di Washington.