Quasi ogni giorno, alle 7.30, arrivava la telefonata. Federico Fellini chiamava il suo amico Sergio Zavoli, riminese come lui, sia pur d’adozione e, insieme, facevano il bilancio del mondo: “Ci raccontavamo le cose più diverse anche i sogni”, confessava il giornalista che si è spento ieri a Roma a 96 anni.
Futuro radiocronista, condirettore del telegiornale, direttore del Gr, presidente della Rai (dall’80 all’86), narratore e inchiestista tra i più raffinati, scrittore e persino poeta, aveva già una mente che straripava di suggestioni e immagini. La televisione nel suo destino: una missione culturale iniziata nel 1948 (complice Vittorio Veltroni, il padre di Walter), un amore mai tradito, anche nell’ultimo periodo, quello della presidenza alla Commissione vigilanza Rai, quando l’amarezza per il degrado dell’ente pubblico e del Paese era tanta ma sempre sussurrata.
Detestava l’informazione “enfatica, ammiccante, strumentale”. Non ne ha mai fatta, sin da quella straordinaria innovazione che fu, negli Anni Sessanta, “Processo alla tappa”, storica trasmissione di commento al Giro d’Italia. Un viaggio “nel ventre della corsa”, come diceva lui, nelle piccole storie umane, sociali, dei gregari dell’Italia di allora.
Così è nato Tv7, così sono nati i reportage televisivi più belli, “Viaggio intorno all’uomo”, “Nascita di una dittatura” e, sopra tutti, “La notte della Repubblica”. 50 ore sulla “rivoluzione impossibile del terrorismo”.50 ore di domande e risposte, di vedove, di padri delle vittime, di lacrime brigatiste davanti alla telecamera. Un “gioco delle parti”, tra lui e i terroristi, “fondato sulla più cruda e persino crudele lealtà”. Un faccia a faccia condotto con quella sua voce profonda, piana, non aggressiva, tuttavia severa fino a intimidire, destabilizzare l’interlocutore.
Grandi successi (spezzati dall’infelice esperienza della direzione de “Il Mattino di Napoli” nel ’94), due Prix Italia, la laurea honoris causa, i libri, e poi la svolta “naturale” in politica, “in ossequio a quell’impegno civico ereditato da mio padre”: tre volte senatore con i Ds, con l’Ulivo, con il Pd. Per autorevolezza e carattere, non sarà mai una comparsa, pur lasciando il primo piano ad altri.
Lo arruolano improvvisamente nel febbraio 2015 quando si tratta di trovare un nome per la presidenza alla Commissione di vigilanza Rai che metta d’accordo tutti e risolva la grana Villari. Glielo chiede Walter Veltroni, figlio di Vittorio, e Zavoli non sa dire di no. La salute già lo tradisce, la Rai, nell’orbita berlusconiana, è più che mai un contenitore di veleni e colpi bassi. Il gioco si fa duro, forse troppo per un intellettuale della televisione, pur non ingenuo nella navigazione della vita.