26 Aprile 2024, venerdì
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Suicidio assistito e responsabilità medica: risponde il Prof.Lucio Romano

La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri parla chiaro: sulla base di quanto stabilito dalla sentenza n. 207/2018 della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, si allinea il proprio Codice Deontologico per quanto attiene la non punibilità disciplinare.

Intervistiamo sul punto il Prof. Lucio Romano, medico chirurgo e docente di Bioetica nonché Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica.

Prof. Romano, la Corte Costituzionale ha recentemente dichiarato non punibile il suicidio assistito. Applicabile in ogni caso o solo se ricorrono determinate condizioni?

Facciamo chiarezza. La Corte Costituzionale, con la sentenza n.242/2029, dichiara non punibile il suicidio assistito ma ad alcune ben precise condizioni. La motivazione principale si fonda sulla libertà di autodeterminazione del malato di congedarsi dalla via, per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili. Le condizioni indicate dalla Corte sono: persona affetta da patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Inoltre, la Corte ha richiamato il rispetto della normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua e la verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Ssn, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente.”

Con riferimento alla responsabilità del medico è da evidenziare la scelta della FNOMCeO di allineare punibilità disciplinare e punibilità penale del medico. Ci può fornire delucidazioni in merito?

Il Consiglio nazionale della FNOMCeO, circa gli indirizzi applicativi dell’art. 17 del Codice Deontologico (“il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte”), ha ritenuto di allineare anche la punibilità disciplinare a quella penale. Comunque, a tal proposito occorre fare una distinzione tra deontologia medica e norma giurisprudenziale. La prima si riferisce ai doveri che l’esercizio dell’attività professionale impone. Ma deontologia e norma giuridica, pur presentando punti di contatto e di scambi, si collocano su piani diversi. Mi spiego: la norma deontologica, in base ai fini della propria attività professionale, è “differente rispetto alla norma giuridica se non più esigente”. La stessa Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto (sentenza n.282/2002), rispetto alla legge, una priorità ai principi di autonomia professionale cui “si riconduce anche il codice di deontologia medica, che l’organismo nazionale rappresentativo della professione medica si è dato come corpus di regole di autodisciplina predeterminate dalla professione, vincolanti per gli iscritti all’Ordine che a quelle norme devono quindi adeguare la loro condotta professionale.”

La Consulta Deontologica Nazionale della FNOMCeO ha prodotto un parere sull’ordinanza della Corte Costituzionale n.207/2018. Cosa si afferma in merito?

“Il documento della Consulta, puntuale e accorto nelle sue declinazioni, tra l’altro ricordava: “il medico è chiamato all’osservanza, oltreché delle norme deontologiche, di quelle norme giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della professione in questo modo sancendosi per ogni medico la prevalenza del precetto deontologico rispetto all’ordinamento giuridico generale”. Non da ultimo garantendo l’impegno del medico a costruire un’alleanza terapeutica improntata al reciproco rispetto (art. 20 CDM) nell’autonomia decisionale del cittadino previamente e adeguatamente informato (art. 33 e 35 CDM) ed evitare di intraprendere e d’insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente futili e inappropriati (art. 16 CDM) nell’impegno a non abbandonare il paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza, nella continuità delle cure con la terapia del dolore e con le cure palliative (art.39 CDM e L.38/2010).”

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