19 Aprile 2024, venerdì
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L’Unione Europea e l’importanza delle alleanze

‘Uniti nella diversità’ è il motto che ha accompagnato il passaggio al nuovo millennio dell’Unione europea. Tuttavia, l’Unione a 28 – presto a 27 dopo l’uscita del Regno Unito – si presenta come un’entità composita e differenziata, nella quale alleanze più o meno ristrette di Stati membri perseguono obiettivi politici specifici.Le alleanze tra Paesi che convergono sugli stessi obiettivi strategici possono prendere la forma di progetti consolidati di integrazione, di cooperazioni politiche, o anche di coalizioni ad hoc create per incidere sul processo decisionale europeo. Queste forme variegate si sovrappongono e si intersecano nel complicato sistema di pesi e contrappesi europeo. Tra le forme consolidate di integrazione dobbiamo sicuramente enumerare l’eurozona, il progetto simbolo dell’Unione che attualmente coinvolge 19 Stati membri, e l’area Schengen, di cui fanno parte 22 Paesi Ue. L’appartenenza alla zona euro in particolare è destinata a diventare sempre più rilevante alla luce della Brexit: dopo l’uscita della Gran Bretagna, coinvolgerà il 70% degli Stati membri e l’85% del Pil complessivo dell’Unione.

Nel novembre del 2017 è stata poi lanciata una nuova forma di integrazione differenziata nel settore della difesa – la Cooperazione Strutturata Permanente (Pesco) – che coinvolge quei Paesi che hanno dimostrato di possedere la volontà politica e le capacità per portare avanti progetti più ambiziosi di cooperazione per lo sviluppo degli armamenti e degli interventi militari europei.Se l’idea iniziale – soprattutto francese – di limitare la cooperazione a un gruppo ristretto di Stati membri è stata abbandonata a favore di uno schema inclusivo che ne coinvolge ben 25, sarà fisiologica la creazione di un gruppo di testa – verosimilmente composto da Francia, Germania, Spagna e Italia – che porterà avanti la maggioranza dei 34 progetti lanciati sotto la Pesco.

Queste forme istituzionalizzate di cooperazione non esauriscono i tentativi di alleanza politica nel contesto europeo. In molti casi, gli Stati europei optano per alleanze al di fuori del quadro Ue, nel tentativo di creare gruppi di interesse che perseguano un’agenda specifica e possano influenzare quella europea. Lo testimoniano iniziative recenti come il rilancio del motore franco-tedesco e dell’agenda riformista concordata tra Emmanuel Macron e Angela Merkel attraverso il Trattato di Aquisgrana, firmato il 22 gennaio scorso, in continuità con il Trattato dell’Eliseo siglato dai due Paesi nel 1963.Immagine correlata

Negli ultimi mesi sembra anche aver ripreso vigore il raggruppamento di una decina di Paesi dell’Europa del nord e baltici che si rifanno alla tradizione della Lega Anseatica, alleanza commerciale del XII secolo, per portare avanti proposte di riforma della governance politica ed economica dell’Ue di chiara impronta liberista e rigorista.

A questa si contrappone il gruppo di Visegrad – formato da Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia – che affonda le sue radici nella fase post-sovietica dei primi Anni Novanta e che ha ritrovato vigore nell’ambito dell’Ue soprattutto in relazione alla crisi migratoria del 2014-2016 e alle posizioni di chiusura adottate dai suoi membri verso gli impegni di solidarietà europea e di accoglienza dei richiedenti asilo.Inoltre, due dei governi del gruppo – quello ungherese e quello polacco – sono tra i più esposti in Europa per la promozione di modelli illiberali di democrazia, soprattutto in materia di stato di diritto e libertà di stampa, in contrasto con i valori perseguiti dall’Unione e dai suoi Stati membri.

Queste alleanze non istituzionalizzate si sovrappongono a quelle formali incardinate nell’architettura dell’Unione e si rivelano particolarmente utili nel momento in cui si devono prendere – o bloccare – decisioni importanti a Bruxelles. Questo è ancora più vero dal 2009, quando l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha ampliato le materie soggette al voto a maggioranza qualificata. La regola della doppia maggioranza adottata nel 2014 richiede il voto favorevole del 55% degli Stati membri, quindi 16 su 28 (ma è richiesto il 72% se non si delibera sulla base di una proposta della Commissione o dell’Alto Rappresentante), che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Ue. Allo stesso tempo, per esercitare il diritto di veto, una proposta deve essere respinta da almeno quattro Stati membri che rappresentino almeno il 35% della popolazione dell’Ue (minoranza di blocco).Se l’Italia resta a pieno titolo in tutte le coalizioni istituzionalizzate, la sua posizione è messa in discussione da una gestione erratica e ambigua della sua politica estera ed europea. Non aiutano certamente la performance deludente degli indicatori economici (soprattutto debito pubblico e crescita), e il ridimensionamento degli impegni nella gestione delle migrazioni (politica dei porti chiusi, critiche alla missione Eunavformed Sophia) e nella difesa (riduzione di fatto delle spese per la difesa e delle missioni internazionali).

Vanno registrati una serie di tentativi di avvicinamento del governo italiano formatosi dopo le ultime elezioni del marzo 2018 verso governi che hanno obiettivi strategici diversi, tra cui i Paesi di Visegrad e l’Austria, rivendicando presunte “affinità elettive” e medesime finalità politiche.Questo approccio tattico sembra però in contrasto con tutte le caratteristiche prevalenti del processo di costruzione di alleanze in ambito europeo e non pare difatti aver permesso il conseguimento di alcun risultato concreto, come dimostra il mancato appoggio di questi Paesi alle posizioni italiane in tema di migrazione e bilancio.

fonte: https://www.affarinternazionali.it/2019/02/ue-foedera-impera-alleanze/

 

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