6 Maggio 2024, lunedì
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OTTO ANNI DOPO LE PRIMAVERE ARABE: in Tunisia è tempo per la resa dei conti

L’anniversario della ‘Rivolta dei gelsomini’ in Tunisia, la prima della stagione delle Primavere arabe, è tradizionalmente tempo di bilanci.  Quest’anno è coinciso con la fine del mandato della Commissione di Verità e Dignità (Instance Vérité et Dignité, Ivd), pietra angolare del processo di giustizia di transizione che avrebbe dovuto, in questi ultimi anni, riparare alle conseguenze delle passate violazioni dei diritti umani, al fine di ristabilire la coesione sociale e rafforzare lo stato di diritto in Tunisia.

La fine dei lavori della Commissione di Verità e Dignità
L’Ivd è l’unica commissione di verità e riconciliazione attivata a seguito delle rivolte del 2011 e la seconda nel mondo arabo dopo quella nata nel 2004 per volontà dell’attuale re del Marocco, Mohammed VI, per fare luce sugli ‘anni di piombo’ del lungo regno del padre Hassan II. Una commissione che, a differenza del caso tunisino, operava in una situazione di continuità di regime, piuttosto che di rottura. Concepita nel momento “rivoluzionario”, l’Idv ha tuttavia inaugurato i lavori nel giugno del 2014 in un clima già diverso, segnato dall’ascesa di Nidaa Tounes, che rivendica l’eredità di Bourghiba e annovera tra le sue fila diversi quadri ed esponenti del vecchio partito al potere, sciolto all’indomani delle rivolte.

Le indagini dell’Ivd sulle violazioni dei diritti umani
Nel 2013, durante il governo della Troika – la coalizione guidata dal partito di ispirazione islamica Ennahda –  l’allora Assemblea nazionale costituente aveva approvato la legge per il processo di giustizia di transizione e la creazione dell’Ivd. La Commissione ha avuto l’autorizzazione a investigare su abusi commessi da parte delle autorità statali in quasi sessant’anni di regime, quello di Bourghiba prima e  quello di Ben Ali poi,  dal 1955 – anno precedente all’indipendenza della Tunisia – al 2013.Immagine correlata

L’ Ivd ha tentato di ricostruire la verità dei fatti, avviare un processo di identificazione dei colpevoli ed elaborare un programma di riparazione individuale e collettiva. Un’impresa ambiziosa che, attraverso l’accesso ad archivi pubblici e privati, audizioni e indagini, mirava a portare alla luce crimini rimasti nascosti per decenni, preservarne la memoria collettiva e introdurre garanzie affinché questi attacchi non abbiano a ripetersi, anche attraverso una riforma delle istituzioni.In poco più di quattro anni di lavoro, l’Ivd ha condotto oltre 49.600 interviste confidenziali e tenuto 12 audizioni pubbliche trasmesse in prima serata in diretta televisiva.

La Commissione, non avendo competenza giurisdizionale, ha deferito i più gravi ed evidenti casi di violazioni dei diritti umani alla magistratura per un procedimento penale trasmettendoli ad alcune Camere speciali. Queste Camere, appositamente istituite all’interno dei tribunali nazionali, avranno giurisdizione anche sui casi su cui le corti ordinarie si sono già espresse, presumendo ciò possa essere avvenuto in condizioni di mancata indipendenza del sistema giudiziario. Oltre alle riparazioni morali, l’Ivd ha anche suggerito l’istituzione di un fondo per le vittime.

Come ribadito più volte dalla presidente della Commissione, Sihem Ben Sedrine, giornalista e attivista dei diritti umani, quella della giustizia di transizione è un’esperienza dolorosa, necessariamente politica e conflittuale. E proprio lei è stata al centro di numerosi attacchi e critiche, anche dall’interno della stessa Commissione, per svariati motivi: dalla vicinanza agli islamisti a una presunta cattiva gestione delle risorse disponibili, passando per il suo carattere per alcuni troppo autoritario.Molti analisti hanno sottolineato come i risultati prodotti dall’Ivd siano stati al di sotto delle aspettative delle vittime, come del resto già successo in casi analoghi, tra cui Sudafrica e Cile. Le ragioni sono probabilmente da ricercare negli obiettivi troppo ambiziosi da realizzare in un arco di tempo così limitato e nella scarsità di risorse per farlo, oltre che nella resistenza di buona parte della classe politica e nella mancata collaborazione dei ministeri, in particolare quello degli Interni.Dando pubblicamente voce alle vittime e, in alcuni casi, ai carnefici, si è cercato di affrontare non soltanto gli abusi di un intero apparato statale ‘sotto sequestro’ e al servizio di interessi personali piuttosto che dell’interesse generale, ma anche di fare i conti con una certa visione del ‘progresso’ e dei ‘progressisti’ di cui quel regime si è fatto scudo, tanto a livello nazionale che internazionale.( fonte affarinternazionali.it)

a cura di Vincenzo Catapano

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