28 Marzo 2024, giovedì
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Lo straordinario potere dell’arte

L’Alzheimer è, per definizione, una malattia neurodegenerativa che provoca un declino progressivo e globale delle capacità cognitive, associato a disturbi di personalità e, progressivamente, alla perdita dell’autonomia nell’esecuzione degli atti quotidiani. L’aspetto più evidente è la perdita di memoria.Immagine correlata

Secondo il World Alzheimer Report 2018 i malati di Alzheimer nel mondo, sarebbero attualmente circa 47 milioni e si stima che, entro il 2050 si arriverà all’incredibile numero di 130 milioni di persone affette da questa patologia.

Quali sono le nuove frontiere della ricerca e della scienza per quanto riguarda l’approccio terapeutico a questa patologia?

Da circa 15 anni purtroppo, non si vedono progressi nel settore della ricerca e sviluppo di farmaci anti demenze (in generale).  Attualmente quindi, non ci sono cure mediche e farmaci preposti per guarire chi è affetto da Alzheimer o forme di demenza senile. D’altro canto però, ci sono numerose sperimentazioni che usano forme d’arte come la pittura o la musica che riescono a far rifiorire nei pazienti alcuni ricordi e i risultati sono sbalorditivi.

Come fa l’arte ad avere questo potere su una malattia così alienante come l’Alzheimer? Cosa succede nel nostro cervello?

Agli inizi, ad essere colpita e a deteriorarsi è la memoria definita a breve termine (MBT). Essa è costituita da tutti quei sistemi che permettono di conservare l’informazione per il tempo necessario a compiere una determinata azione (esempio: tenere a mente un numero di telefono per il tempo utile a fare la telefonata). Una volta raggiunto lo scopo, l’informazione svanisce. In ogni essere umano è presente però anche un’altra memoria chiamata memoria a lungo termine (MLT) nella quale risiedono tutte le informazioni che nell’arco di un’intera vita ognuno di noi ha immagazzinato.
Le ricerche neuropsicologiche hanno dimostrato l’esistenza di due sistemi di memoria all’interno della MLT: la memoria esplicita e la memoria implicita. La prima, cosciente e verbalizzabile (memoria semantica), rappresenta l’autobiografia del soggetto (memoria episodica) e permette all’uomo di pianificare le sue azioni presenti e future (memoria prospettica). La seconda, memoria implicita, detta anche memoria procedurale o emotiva, è la più antica delle memorie in quanto è la prima a formarsi. Essa non è verbalizzabile e si può ricollegare al priming, cioè alla capacità di recuperare informazioni riguardo ad una tematica, se poco tempo prima è stato richiamato un elemento ad essa collegabile.
La memoria implicita comprende la memoria procedurale come sequenza automatica di comportamenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo e la memoria affettiva o emotiva che riguarda le emozioni provate nei primi due anni di vita o addirittura durante la vita fetale.
Nei primi 24 mesi il bambino vive esperienze affettive in relazione al rapporto con la madre. Esse possono essere di diversa intensità, positive o negative, caratterizzate da esperienze traumatiche o no. Tutte queste esperienze vissute, le difese o le fantasie a loro collegate, si depositano nella memoria implicita creando un nocciolo d’Inconscio che non sarà rimosso, condizionando il resto della vita futura. L’area predisposta alla memorizzazione di queste esperienze affettive-emozionali, in una fase della vita preverbale, è l’amigdala. E’ questa l’area cerebrale sulla quale può intervenire l’arteterapia.
L’amigdala ha un ruolo importante giacché, quando è iper stimolata o quando è inibita, cancella, in realtà, le memorie; o meglio, impedisce che si riformino. Le esperienze emotive primarie di cui ho parlato sopra possono essere riportate in superficie attraverso un linguaggio non verbale ben calibrato: il sogno, la musica, l’arte.
Riconosciuto che l’amigdala interviene nella memorizzazione e nella rielaborazione delle emozioni inerenti alla memoria implicita, l’ippocampo è invece l’area predisposta all’immagazzinamento della memoria esplicita. Nel malato d’Alzheimer a deteriorarsi è principalmente l’ippocampo, mentre l’amigdala resta pressoché intatta a lungo.

L’esperienza:‘’ Ecco come, lavorare con soggetti malati d’Alzheimer con l’arte ha lo scopo di proporre un trattamento non legato ad un processo di guarigione, ma finalizzato al benessere e al miglioramento dell’esistenza. Gli obiettivi riabilitativi sono molteplici. Prima di evidenziarli è necessario indicare a quale stadio della malattia avviene l’intervento. Agli esordi della malattia l’arteterapia ha fondamentalmente uno scopo di stimolazione cognitiva e di contenimento dell’eventuale depressione, che la diagnosi della malattia porta con sé. L’uso della materia incoraggia un’immagine positiva di sé attraverso il “fare”. Stimola e mantiene più a lungo le capacità mnemoniche, di programmazione, di pianificazione e d’astrazione. Fare arte sprona la persona a mettere in azione le competenze necessarie per organizzare il processo creativo. A volte devono essere trovate soluzioni strategiche per le problematiche sorte inaspettatamente, utilizzando percorsi non “canonici”.
Quando la persona malata è, invece, in una fase molto avanzata, l’arteterapia assume scopi differenti. Essa permette, attraverso il suo linguaggio iconografico, di far emergere esperienze emotive vissute nei primi anni di vita e depositate nella memoria implicita. Il raggiungimento di tale scopo crea benessere e attenua gli atteggiamenti comportamentali tipici di questo stadio della malattia.
Questo è reso possibile non solo dalla molteplicità del materiale proposto, ma anche dall’ambiente creato all’interno del setting, inteso come il luogo dell’incontro tra una o più persone attraverso il manufatto e il processo creativo per realizzarlo. Il corpo, le posture e i suoi movimenti nello spazio dell’atelier sono presi in carico non solo come portatore di malanni, ma come elemento della relazione, un ambiente fatto principalmente d’ascolto e d’abbandono ai bisogni del malato, dove la parole hanno un tono e un volume. Insomma, un ambiente dove tutto intercorre a ricreare situazioni che richiamino esperienze infantili primarie, come se la memoria per attivarsi avesse bisogno di un livello ottimale di stimolazione emotiva: né troppo intensa, né troppo leggera, altrimenti la traccia mnesica non può ricrearsi.
E’ facile domandarsi cosa accada in un atelier con malati Alzheimer in fase avanzata. Dai loro gesti, movimenti, tracce lasciate sul foglio o sulla creta, emerge con forza il messaggio: “Io ci sono, io ho qualcosa da dire”. Lo spazio del foglio non è più bianco, vuoto, muto. E’ spazio che raccoglie la traccia di un’esistenza. Il fare arte, con malati Alzheimer, rappresenta la possibilità di ricollegarsi all’area della memoria implicita dove risiedono i ricordi emotivi e aiutarli ad emergere attraverso un linguaggio iconografico particolare, potrei dire primordiale, fatto di linee, forme, colori che danzano e s’incontrano tra loro’’, racconta la Dott.ssa Chiara Salza, una delle prime in Italia ad aver portato l’arteterapia. Formatasi presso la Scuola di Formazione nelle Artiterapie, scrittrice del libro ‘’Arteterapia e Alzheimer’’.Né è un esempio Il pittore americano William Utermohlen, a cui è stato diagnosticato l’Alzheimer nel 1995, si è autoritratto (i quadri sono qui sotto) nel vari stadi della malattia dipingendo anche una volta perso l’uso della parola.Il proposito non era soltanto artistico, ma terapeutico. Incoraggiato dai medici, disegnare era un modo per stare meglio. La parte creativa del cervello, infatti, è una delle ultime a essere attaccata: lì risiedono ricordi ed emozioni che con le arti possono riemergere, portando benessere al paziente.L’arte come potenza quasi divina diventa strumento essenziale per la ricerca e per riempire la vita di un malato di Alzheimer o demenza senile. In questo senso, bisognerebbe investire di più su centri specializzati, formazione per artiterapisti e piccoli laboratori che, potrebbero essere uno spiraglio di luce nel buio, per il malato, per i familiari e per la collettività tutta.

 

Siti consultati:

https://www.alz.co.uk/research/world-report-2018

a cura di Massimo Mazzetti

 

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