20 Aprile 2024, sabato
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Italia possibile promotrice della stabilizzazione in Medio Oriente

Ben poco la Presidenza italiana dell’Unione o l’Alto rappresentante di vecchia o fresca nomina potranno fare da soli per mettere ordine nel travolgente scenario di quello che in altri tempi fu il Grande Medio Oriente.

Ma potranno, questo sì, farsi carico di attivare una forte iniziativa diplomatica per chiamare a raccolta i protagonisti regionali e internazionali della crisi attorno a un tavolo ove dispiegare le carte, comparare le posizioni, delineare un percorso concordato di stabilizzazione. A partire dal reiterato appello del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon di smetterla con le forniture di armamenti a tutte le parti in causa.

Le condizioni potrebbero ora essere riunite, dopo anni di inerzia, di dichiarazioni, di tentativi mal riusciti, ivi incluso dei due inviati speciali dell’Onu in Siria, Kofi Annan e Lakhdar Brahimi, di malcelate aspirazioni di dominio e mal riposte tentazioni di influenza di taluni paesi, lobby, personalità laiche o religiose, e di interventi frammentari.

L’Isil, terzo incomodo
Paradossalmente, l’Isil (lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante), con qualche migliaio di combattenti ben armati, ben addestrati, e con una buona dose di ferocia, ha rivelato il fallimento della variegata gamma di tattiche e strategie addensatesi intorno ai destini dell’Iraq e della Siria.

Scavalcando le frontiere e proclamando un inatteso Stato islamico unitario da Aleppo alle porte di Bagdad, sia pur velleitario e subito qualificato da taluni esperti come ‘privo di significato concreto’, l’Isil è emerso come dirompente ‘terzo incomodo’ sul campo di battaglia, capace di confrontare i jihadisti di Al-Qaeda così come l’esercito iracheno, intessere ambigui legami tattici con il regime di Damasco, poggiare su pezzi residuali di baathismo siriano e iracheno che si pretendevano depotenziati, e seminare, assieme a violenze inaudite dirette contro quanti non si piegano alla logica del terrore, in primis cristiani e sciiti, il virus della sovversione dall’interno di ogni assetto statale ereditato dal colonialismo o da rivoluzioni islamiche.

L’Isil ha drammatizzato lo scenario al punto tale da inquietare tutti. La Turchia, che vede svanire il sogno di influenza neo-ottomana, le monarchie del Golfo con in testa l’Arabia Saudita, che percepiscono i germi di potenziali nemici interni, i paesi confinanti, in primis Giordania e Libano, alle prese con una quotidiana precarietà e un impossibile carico di rifugiati, la Russia, lungi dal fiancheggiare chi lo Stato lo vuole distruggere, gli occidentali, e anche l’Iran.

Tutti, per differenti ragioni, hanno preso le distanze dall’Isil. Salvo il silenzio del regime siriano, verosimilmente impegnato in un’ardita operazione di collegamenti alimentati dagli accoliti del mai defunto Baath.

La posta in gioco ha una portata immensa. Non tanto in relazione all’instaurazione di stati islamici nella regione, notoriamente già perseguita con alterne vicende da Al-Qaeda, o alla supremazia di componenti sunnite su componenti sciite o viceversa, quanto per il sovvertimento di ogni criterio di statualità che fin qui ha retto gli assetti regionali, e che Al-Qaeda stessa, pur con il corredo di un’ideologia pan-islamica estrema, è riuscita a scalfire appena, con la tragica eccezione della Siria.

L’unione fa la forza.

Precedente nei Balcani 
Che sia questo ‘terzo incomodo’, con il suo cinismo, assenza d’ideologia, potenziale sovversivo, e non ultimo con il coinvolgimento di popolazioni disperate e stanche di vessazioni, a mobilitare la comunità internazionale per una concertazione vera sul futuro dell’area?

A convincere l’Europa che sostenere con molte dichiarazioni e pochi fatti un’opposizione siriana più divisa che mai, un governo iracheno incapace di visione unitaria del proprio paese, non è certo sufficiente? A scorgere il rischio altissimo di ulteriori frantumazioni e crescenti estremismi per la stessa Europa?

Ad occuparsi a fondo di un’area così vicina e così drammaticamente instabile ed esausta, mettendo in campo tutta la strumentazione disponibile, politica, diplomatica, economica, e di solidarietà sociale? Ad aggiungere ai massicci aiuti umanitari il proprio peso per riorganizzare gli assetti e reperire i termini di una stabilità il più possibile democratica? A conferire il suo contributo di idee, non per imporle ma per condividerle?

Per molto meno, negli anni ’90, nella gestione del travaglio dei Balcani, furono messi rapidamente all’opera, con il determinante contributo dell’Italia, Steering BoardContact Group, e assemblee plenarie partecipate da tutti i protagonisti regionali e internazionali sotto l’egida dell’Onu.

Si dirà, ma quella era Europa, e ci volle un decennio per costruire le basi di stati democratici, e la prospettiva di divenirne parte al termine del processo. Vero, questa non è Europa, ma la dignità e i diritti umani delle persone sono gli stessi. Nessuno degli interlocutori regionali chiede di diventare europeo, al contrario, domanda il rispetto delle differenze. E nessuno può certo immaginare che i tempi di una stabilizzazione democratica possano essere ravvicinati.

Meccanismo di collaborazione internazionale
Si tratterebbe quindi di cominciare con la creazione di un meccanismo di collaborazione internazionale, che risponda alla logica di un mondo globalizzato, di convenire gradualmente su una visione complessiva per il futuro dell’area che tenga conto di tutti interessi in causa (inclusi quelli dei curdi), su una piattaforma che valorizzi i punti di convergenza dei protagonisti esterni, e contrasti l’impunità di quelli interni, e soprattutto di perseverare.

Non dunque un progetto compiuto, elaborato in questa o quella capitale, e in quanto tale divisivo, ma un movimento corale che si traduca in un processo basato sulla corresponsabilità, e garantito dall’Onu.

Un’iniziativa in tal senso della Presidenza italiana, ben preparata con una serie di consultazioni preliminari, dovrebbe trovare il consenso dei partner europei e ben oltre, ivi inclusi i paesi dell’area.

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