29 Marzo 2024, venerdì
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Il Belgio come la Svizzera?

Alcuni tendono a comparare se non a mettere insieme i casi di Belgio e Svizzera. Il fattore comune è dato dal multilinguismo con la convivenza sotto lo stesso tetto federale, o confederale, di vari popoli e varie culture. Rispetto a quello svizzero, il panorama belga è relativamente più semplice sotto il profilo della varietà e più complesso sotto quello dei rapporti fra comunità. 

La grosse koalition Di Rupo
Il 25 maggio il Belgio vota contemporaneamente per le elezioni legislative e le europee. Un banco di prova per il governo di Elio Di Rupo, entrato in funzione dopo la crisi che vide il paese senza un governo per 540 giorni. 

Un esecutivo di coalizione, una sorta di grosse koalition alla belga, in cui ci stanno tutte o quasi le componenti fiamminghe e francofone di liberali, cristiano-democratici, socialisti. 

I risultati del governo di Di Rupo, verso il quale noi italiani abbiamo il naturale trasporto per chi, figlio d’immigrati abruzzesi, si è fatto strada nel paese di accoglienza, sono ragguardevoli. E non solo per avere superato il lungo stallo istituzionale. 

Il Belgio ha recuperato la fiducia dei mercati internazionali: lo spread si è ridotto di molti punti, i conti pubblici rivedono l’equilibrio senza che il paese si sia avvitato in una spirale deflazionistica, i deficit 2013 e 2014 si riallineano. 

Sul piano interno la tregua nella querelle fra comunità, che spinge alcuni della parte fiamminga a ipotizzare la divisione del paese in due tronconi, trova un punto di compromesso sulla questione della circoscrizione della parte fiamminga di Bruxelles. 

La stessa Bruxelles, agli occhi di chi ci ha vissuto a lungo e torna da visitatore, appare del tutto trasformata negli usi e nei costumi. L’inglese è la lingua terza che avanza. Gli orari degli esercizi commerciali si allungano. I ristoratori che prima andavano a letto con le galline, ora tirano tardi quasi al cantare del gallo. 

Il jazz continua a essere la colonna sonora del vieux quartier che va dal Sablon alla Grand Place. Non si consumano solo frites et moules et bière, la dieta varia, accanto agli onnipresenti italiani trovi ristoranti di ogni tipo e, purtroppo, di ogni qualità. 

Pulsioni separatistiche e regionalistiche 
La Bruxelles europea s’internazionalizza e certe polemiche che avevano senso nella grande capitale d’un piccolo Regno perdono senso nella grande capitale della grande Europa.

L’allargamento dell’Unione europea (Ue) del 2004-2007 ha toccato la morfologia di Bruxelles, che ha pure avuto il riconoscimento al suo ruolo di “capitale d’Europa” nel Trattato sull’Ue. Nei tempi Rue de la Loi figurava come “indirizzo provvisorio” della Commissione, ora il Berlaymont e il Justus Lipsius dominano lo skyline cittadino e continentale. 

Il problema di una capitale ipertrofica rispetto al resto del petit et plat pays di Jacques Brel non è per questo risolto. Pulsioni separatistiche e regionalistiche mettono in discussione quello che pareva il dogma del Belgio: l’europeismo. Al punto che era comune ritenere che acquis belge e acquis communautaire fossero all’incirca la stessa cosa. 

Il Regno resta il collante di una società molto articolata. Il passaggio dinastico da Alberto II a Filippo I è stato morbido e ha riaperto il dibattito interno sull’opportunità di rivedere le prerogative reali se non la stessa monarchia.

La soluzione repubblicana resta sullo sfondo ed è evocata tiepidamente dagli stessi seguaci dell’idea. Il Vlaams Belang, il partito nazionalista fiammingo, proclama la sua fede repubblicana per rivendicare l’autonomia: “siamo per la repubblica delle Fiandre”. 

Altri dirigenti fiamminghi la pensano allo stesso modo, ma tengono l’idea nel retro della mente. Il mondo politico vallone sarebbe aperto al dibattito istituzionale, ma solo dopo le elezioni e verificati tutti gli scenari che verrebbero da una scelta del genere. 

Guy Verhofstadt, duplice candidato 
Le prossime elezioni sono segnate dalla figura di Guy Verhofstadt, il duplice candidato del partito liberale e dell’Alde. Fra i possibili candidati alla presidenza della Commissione, Verhofstadt è il solo a evocare la prospettiva federale con schiettezza. La chiama col suo nome e senza ricorrere alle perifrasi di comodo tipo “vogliamo più Europa”. 

Il suo federalismo a tutto tondo gli chiama simpatie fra quelli che ne condividono il sogno anche se in formazioni diverse dall’Alde ( si pensi alla nostra Barbara Spinelli, candidata nella lista per Tsipras), ma gli attira le critiche, in patria e fuori, di chi attribuisce all’Europa i mali del continente. Anzitutto per la politica di rigore che ha messo in ginocchio le economie di alcuni stati membri e diffuso disoccupazione e disagio sociale. 

I sondaggi assegnano un vantaggio all’Alleanza Fiamminga di Bart De Wever, che mira a portare il partito al governo per rompere il blocco di liberali – cristiani – socialisti. Nel contempo il 33% degli intervistati vorrebbe che l’esperienza Di Rupo continuasse nel segno della ritrovata stabilità. L’estrema sinistra punta ad affermarsi in contestazione ai socialisti, giudicati troppo morbidi nella loro voglia di grande coalizione. 

L’europeismo col turbo del Belgio sarà chiamato alla prova, il 25 maggio, da vecchi e nuovi euroscettici. La frontiera belga dovrà mostrarsi ben più salda della linea dei forti nelle Ardenne durante l’ultima guerra. Le Ardenne – si pensava – erano barriera insormontabile per i mezzi corazzati. L’Ue ha bisogno che il Belgio resti nella parte di stato membro fondatore.

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