24 Aprile 2024, mercoledì
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Interesse legittimo, il lavoratore pubblico recupera una “posizione”

Nel pubblico impiego privatizzato, la procedura di selezione non concorsuale, ossia non soggetta alle specifiche norme previste per l’accesso al pubblico impiego, ma “idoneativa”, per l’affidamento di un incarico di responsabilità, rientra tra gli atti adottati in base alla capacità ed ai poteri propri del datore di lavoro privato.
Qualora l’amministrazione utilizzi il proprio potere discrezionale decidendo se utilizzare i risultati acquisiti di una precedente procedura, ovvero indirne una nuova, la questione cambia.

La decisione
Ciò è quanto affermato in una sentenza della Corte di cassazione del 3 febbraio 2014 . La Suprema corte ha ribadito il consolidato giurisprudenziale sulla giurisdizione del giudice ordinario in merito alle controversie relative ad atti aventi il carattere di determinazioni negoziali, ancorché unilaterali dell’amministrazione, ma ha anche affermato che “allorquando la controversia esuli dalla procedura avviata e dai relativi atti ed investa direttamente una scelta discrezionale ulteriore, come quella della indizione di una nuova procedura selettiva, la cognizione non può che appartenere al giudice amministrativo, in ragione della situazione soggettiva vantata nei confronti di tale scelta discrezionale della pubblica amministrazione”.
In pratica, se si controverte sulla scelta del ‘quomodo’, ossia come attribuire un incarico di responsabilità, ovvero posizioni o funzioni organizzative, con utilizzazione degli esiti di procedura selettiva o attraverso nuova procedura selettiva, il thema decidendum riguarda l’esercizio di un potere discrezionale della cui correttezza o meno ha cognizione soltanto il giudice amministrativo, non delineandosi a fronte di tale scelta diritti soggettivi .
In verità, la Cassazione ha già affrontato la materia in più occasioni, ribadendo che la determinazione di carattere organizzativo di procedere allo scorrimento della graduatoria già formata è una determinazione assunta in base ad una scelta effettuata mediante l’esercizio del potere amministrativo discrezionale a fronte del quale sono configurabili esclusivamente posizioni soggettive d’interesse legittimo, rientranti nella sfera di competenza del giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità . I precedenti, tuttavia, riguardavano la materia concorsuale e non l’esercizio di poteri in ambito privatistico.
La novità, quindi, risiede non nel considerare il frutto della valutazione discrezionale atto autoritativo, ma nell’equiparare, per così dire, l’albero, cioè ricondurre in ambiente pubblicistico la determinazione organizzativa di scelta del metodo per il conferimento di un incarico.

Il tema di fondo
Cerchiamo d’inquadrare il tema nell’attuale assetto delle fonti. Come noto, il confine tra pubblico e privato della materia organizzativa ha mostrato una traccia incerta sin dall’esordio della privatizzazione del pubblico impiego. La recente riforma del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, c.d. terza fase, che affonda le sue radici nella legge delega n. 15 del 2009 e nel decreto delegato 150 del 2009, interviene specificatamente su tale problematica con l’intento di meglio definire i domini di pubblico e privato, partendo dai contenuti relativi alle fonti, alle relazioni sindacali ed alla dirigenza.
Tale riforma rappresenta un continuum ambientale, nel senso che si colloca nel percorso di privatizzazione avviato agli inizi degli anni Novanta con il Dlgs n. 29/1993, ma pone in essere anche un elemento di discontinuità con il passato, relativamente alla contrattualizzazione della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.
L’ampliamento degli spazi di regolazione di fonte unilaterale, infatti, accresce il potere privatistico del dirigente datore di lavoro, senza determinare una ripubblicizzazione.
Infatti, il riformato art. 5, comma 2, del Dlgs n. 165/2001, afferma la natura privatistica del potere datoriale: “nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l’esame congiunto, ove previsti nei contratti di cui all’ articolo 9. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici” .
D’altronde, in base all’art. 2, comma 1, del Dlgs n. 165/2001, le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti:
•le linee fondamentali di organizzazione degli uffici;
•gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
•le dotazioni organiche complessive.
Sono, inoltre, escluse dalla contrattazione collettiva (art. 40, comma 1, del Dlgs n. 165/2001) le materie:
•attinenti all’organizzazione degli uffici;
•oggetto di partecipazione sindacale;
•afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli artt. 5, comma 2, 16 e 17;
•del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali;
•di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, tra le quali si ricordano le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative; gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; i principi fondamentali di organizzazione degli uffici; i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro.
In particolare, “il reclutamento del personale esprime […] la tipica attività governata dagli atti amministrativi ed eventualmente soggetta ai vizi tipici dei medesimi” .
Si rende evidente una certa “ridondanza e ripetitività di questa lista di materie, posto che in larga misura sia quelle oggetto di partecipazione sindacale, sia quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ex art. 5 (alle quali, del resto, rinvia lo stesso art. 9 nel definire lo spazio e i limiti di detta partecipazione), sia molte di quelle comprese nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 421/1992, in sostanza possono essere ricondotte alla materia dell”organizzazione degli uffici” .

Le posizioni organizzative
Il potere dirigenziale, in buona sostanza, è definito dall’incrocio di atti normativi o amministrativi di natura pubblicistica e di determinazioni organizzative e gestionali privatistiche, a carattere unilaterale ed esclusivo.
La contrattazione nazionale ha disciplinato, a partire dalla tornata 1998/1999, figure professionali e posizioni di responsabilità, anche con compiti di direzione, tecnico-scientifici e di ricerca, ovvero che comportino l’iscrizione ad albi professionali: le c.d. posizioni organizzative.
Le posizioni organizzative costituiscono “uno strumento volto a potenziare, nel sistema di classificazione del personale non dirigenziale, un modello organizzativo flessibile teso al recupero della meritocrazia ed al decentramento delle attività ed al conseguimento dei risultati” .
Esse possono essere attribuite al personale apicale , ovvero a personale inquadrato in apposita area per lo svolgimento di compiti che comportano elevate capacità professionali e culturali corrispondenti alla direzione di unità organizzative complesse e all’espletamento di attività professionali, o, ancora, a dipendenti, non necessariamente in posizione apicale, idonei a svolgere incarichi specifici, di particolare responsabilità, di natura organizzativa o specialistica .
Il conferimento dell’incarico di posizione organizzativa trova fondamento, quindi, nel contratto collettivo ed è:
•ad tempus, cioè con termine certo seppur rinnovabile;
•collegato ad una specifica retribuzione variabile, in quanto soggetta alla realizzazione di obiettivi di programma e di risultato;
•revocabile.
Il conferimento dell’incarico presuppone che le amministrazioni abbiano attuato i principi di razionalizzazione previsti dal Dlgs n. 165/2001.
Quindi, per meglio perseguire le finalità, è essenziale che l’incarico sia preceduto da una attenta valutazione dell’opportunità d’istituire la posizione organizzativa e dalla preventiva valutazione dei requisiti, delle esperienze e delle capacità dei candidati.
L’attribuzione della posizione organizzativa al personale non dirigente non corrisponde ad un mutamento d’inquadramento o di profilo professionale, ma soltanto ad una variazione di compiti e funzioni, fino al cessare dell’incarico.
La contrattazione collettiva, nella migliore delle ipotesi, definisce le linee generali in base alle quali l’amministrazione è tenuta a compiere la scelta del dipendente idoneo a ricoprire una posizione organizzativa od una funzione specialistica, mentre la materia di dettaglio è sottratta al negoziato. Anche il tavolo decentrato è competente unicamente per quel che riguarda la destinazione dei fondi accessori a copertura degli oneri finanziari corrispondenti alle posizioni attivate ed alla graduazione stabilita dall’amministrazione. L’ente pubblico ha, peraltro, il dovere di adottare una condotta trasparente e corretta, rendendo previamente noti i criteri che informeranno la propria azione, successivamente motivando le ragioni della scelta tra i candidati .

La giurisdizione
Da quanto detto, pare pacifico che le azioni relative alla procedura di razionalizzazione e definizione di dotazioni organiche e posizioni organizzative rientrino nella categoria degli atti negoziali, adottati con la capacità e i poteri del datore di lavoro, di cui al succitato art. 5, comma 2, del Dlgs n. 165/2001, esulando dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi.
Tale qualificazione è dirimente ai fini della giurisdizione sulle relative controversie che sono, appunto, devolute alla giurisdizione ordinaria, non ostando la considerazione di atti amministrativi presupposti, atteso che anche in tale evenienza la tutela del pubblico dipendente mediante instaurazione del giudizio ordinario dovrebbe essere assicurata tramite la disapplicazione dell’atto ai sensi dell’art. 63, comma 1, del Dlgs n. 165/2001 .
Per contro, il dominio del diritto pubblico e l’ambito delle attività autoritative si estende soltanto ai procedimenti ed atti generali (normativi e non), a cui si aggiungono le procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, come chiaramente si evince dal dettato di cui all’art. 63, comma 4, del Dlgs n. 165/2001 che, lascia ferma la giurisdizione amministrativa sulle controversie relative, con una portata non soltanto processuale, ma anche sostanziale di diritto pubblico .

Osservazioni conclusive
Da quanto detto, emerge l’originalità della sentenza dello scorso febbraio, con la quale la Suprema corte risolve il profilo di giurisdizione affermando la potestas iudicandi del giudice amministrativo e l’appartenenza al merito amministrativo delle censure dedotte. Ciò in ragione della situazione soggettiva vantata nei confronti di una scelta discrezionale della pubblica amministrazione che non viene fatta rientrare tra le prerogative dell’amministrazione quale privato datore di lavoro.
Ciò pare corretto. È vero che nell’ambito del rapporto di lavoro privatizzato, alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, “il Giudice ordinario sottopone a sindacato i poteri esercitati dall’amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell’osservanza delle regole di correttezza e buona lede, siccome regole applicabili anche all’attività di diritto privato alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.” .
Tuttavia, ove l’azione non sia in tutela di posizioni di diritto soggettivo , ovvero in assenza di chiari limiti ai poteri attribuiti al privato datore di lavoro, in relazione a previsioni, normative o contrattuali, che sanciscano prescrizioni dell’esercizio del potere discrezionale, sul piano sostanziale o su quello procedimentale, suscettibili di essere integrati e precisati dalle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), la Corte esclude la configurazione di un mero interesse legittimo di diritto privato.
Si tratta di un recupero di tutela, laddove la compressione della contrattazione e l’ampliamento dei poteri datoriali unilaterali parevano accentuare quanto già precedentemente ipotizzato, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, in termine di possibile arretramento della protezione delle posizioni giuridiche vantate dal dipendente pubblico nei confronti dell’amministrazione datore di lavoro .

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