26 Aprile 2024, venerdì
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L’Unione bancaria ai tempi supplementari

Il triplice fischio finale del match tra Consiglio e Parlamento europeo (Pe) per definire i dettagli del meccanismo di risoluzione delle crisi dell’Unione bancaria doveva esserci lo scorso venerdì 14 marzo. Così non è stato e il 19 marzo i parlamentari si incontreranno nuovamente con i negoziatori del Consiglio.Il fischio definitivo arriverà probabilmente prima del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo.

Una corsa contro il tempo, il cui esito non è scontato, dal momento che negli ultimi due mesi incontri simili hanno sempre fallito nel portate Consiglio e Pe a un accordo su questo pilastro dell’Unione bancaria.

Meccanismo unico di risoluzione delle crisi 
Il 2013 ha visto il Pe approvare il meccanismo unico di supervisione bancaria (Single supervisory mechanism, Ssm), il quale dà alla Banca centrale europea (Bce) il potere di supervisione diretta di 130 banche europee giudicate sistemiche e pone il primo mattone dell’Unione bancaria.

Nei primi mesi del 2014 era, ed è ancora, atteso il via libera da parte del Pe al secondo mattone, cioè il meccanismo unico di risoluzione delle crisi (Single resolution mechanism, Srm, così come definito dall’accordo raggiunto nel Consiglio Ecofin di fine dicembre.

il Srm rappresenta un sistema unico europeo (da applicare in tutti i paesi dell’eurozona e in quei paesi Ue che decideranno di far parte dell’Unione bancaria) per la gestione ordinata dei fallimenti bancari. Secondo l’accordo raggiunto a dicembre, esso dovrà entrare in vigore nel 2016 e basarsi su un fondo di risoluzione unico per rifinanziare il sistema bancario in caso di crisi.

Si passerà quindi da una gestione delle crisi bancarie principalmente a livello nazionale ad una gestione sempre più europea. Dopo una fase di transizione lunga dieci anni, il fondo sarà pienamente operativo entro il 2025 e si baserà su 55 miliardi di euro raccolti mediante prelievi ex post in tutti gli stati partecipanti all’Unione bancaria. Risorse che inizialmente saranno gestite a livello nazionale e che poi confluiranno gradualmente in un unico fondo europeo.

Durante la fase di transizione di questi dieci anni, in caso di fallimenti bancari, saranno coinvolti gli obbligazionisti e i detentori di depositi superiori a 100mila euro, rendendo così il settore bancario completamente responsabile per i propri fallimenti.

Il settore pubblico, infatti, sarà responsabile solo su base temporanea e in via sussidiaria, nei casi in cui il suo intervento sia inevitabile per assicurare la stabilità dell’intero sistema. Una grande rivoluzione se si pensa ai salvataggi bancari da miliardi di euro avvenuti durante la crisi e successivamente. Perché dunque è così difficile raggiungere un accordo su questo tema? Perché il Pe non dovrebbe essere a favore di un meccanismo così disegnato che salvaguardi il denaro del contribuente europeo?

Fondo di risoluzione unico 
La ragione della divergenza non risiede nella definizione del principio generale “il settore bancario deve essere responsabile dei propri errori”, ma nel modo più efficace e più “europeo” per rendere applicabile questo principio. Il Srm prevede un complicatissimo sistema di governance con un ruolo centrale ancora giocato dai governi all’interno del Consiglio.

Il Pe vorrebbe che fosse la Commissione a detenere il potere di risoluzione, il più possibile lontano dalle considerazioni protezionistiche degli stati nazionali. Un elemento che certamente è difficilmente accettabile dal Consiglio, il quale insiste sul mantenere un ruolo decisivo nell’intero processo (cioè la possibilità di veto o di modifica di qualunque decisione da parte degli governi nazionali).

Inoltre, il Pe vorrebbe anche snellire l’intero processo decisionale, così da ridurre maggiormente la discrezionalità nel suo funzionamento. Una posizione che trova una forte resistenza soprattutto della Germania.

Un secondo punto di forte contrapposizione è legato alla dotazione e funzionamento del fondo di risoluzione unico. Il Pe vorrebbe sì mantenere il periodo di 10 anni (2016-2026) per l’accumulo dei 55 miliardi del fondo, ma preferirebbe accelerare il periodo entro cui arrivare alla piena mutualizzazione delle risorse, portandolo a tre anni e lasciando aperta la possibilità di anticipare ulteriormente l’utilizzo di tali risorse.

Un’accelerazione di questo tipo permetterebbe, infatti, di rompere più velocemente quel legame stati-istituti bancari che è alla base del progetto dell’Unione Bancaria. Allo stesso tempo, però, esso comporterebbe in caso di attivazione del fondo a un maggior trasferimento di risorse dai paesi più solidi a quelli maggiormente in difficoltà finanziarie: un risultato non certamente amato dal Consiglio e dai contribuenti del nord Europa.

Infine il Pe non trova una accordo sull’aumento della liquidità del fondo disponibile nel periodo di transizione al 2016. Il Pe chiede infatti di prevedere come back stop per il fondo un prestito di risorse, preferibilmente pubbliche e comuni, così da rafforzarne la forza e la credibilità.

Su questo il Consiglio ha forti riserve, anche perché non ha ancora raggiunto un accordo definitivo sulle regole di un altro meccanismo europeo, l’European stability mechanism, che prevede l’utilizzo di risorse pubbliche per la ricapitalizzazione diretta delle banche.

Rischi per la Bce
Le elezioni europee alle porte lasciano poche settimane per raggiungere l’accordo cruciale sull’Srm e approvare la legge attraverso il Pe prima che questo si sciolga alla fine di aprile (già ora il voto in Plenaria è previsto, al limite, per il 17 aprile).

Se la partita tra Consiglio e Pe non terminerà entro questa settimana sarà praticamente impossibile porre in essere questo secondo pilastro della Unione Bancaria in tempo per la conclusione dell’Asset Quality Review.

Un rischio soprattutto per la Bce che rischierebbe così di trovarsi a giudicare sulla necessità di ristrutturare alcuni banche europee senza avere un Srm pienamente operativo, con possibili conseguenze dannose per la già precaria stabilità del sistema finanziario europeo.

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