29 Marzo 2024, venerdì
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Detenzione di materiale pedopornografico: le motivazioni della Cassazione nei confronti di Alberto Stasi

Depositate il 5 marzo 2014 le motivazioni con cui lo scorso 16 gennaio la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna nei confronti di Alberto Stasi per la accusa di detenzione di materiale pedopornografico.

In punto di diritto, la questione fondamentale da esaminare riguardava la possibilità di configurare il reato di cui all’art. 600-quater c.p. in presenza di frammenti di file che, in quanto tali, non siano visionabili o apribili in assenza di particolari accorgimenti informatici o strumentazioni che non sono state rinvenute nella disponibilità dello Stasi.

La Terza Sezione della Corte ha ritenuto fondato il ricorso proposto dal ricorrente.

In particolare, i giudici di Piazza Cavour hanno affermato che il “materiale pedo-pornografico” individuato quale oggetto materiale delle condotte di procacciamento e detenzione incriminate dall’art. 600-quater deve consistere, quando si tratti di materiale informatico “scaricato” in internet, in files completi, incorrotti e visionabili o comunque potenzialmente fruibili per mezzo degli ordinari strumenti e competenze informatiche, dei quali sia provata la disponibilità in capo all’utente.

Nei confronti dello Stasi – osserva la Corte – il reato contestato consiste nell’essersi procurato o comunque l’aver detenuto i filmati: alla condanna, tuttavia, si è giunti sulla base della sola ritenuta detenzione dei file. Non è stato possibile accertare se i frammenti fossero tali – cioè incompleti – in quanto frutto di una successiva cancellazione ovvero perchè non scaricati compiutamente. Nemmeno è stato provato che lo Stasi li abbia potuti visionare o da quale sito siano stati scaricati.

Va in ogni caso chiarito, per fugare ogni dubbio, che la condotta di colui per il quale vi sia prova di essersi volontariamente procurato del materiale pedopornografico per poi essersene disfatto – cancellandolo dal pc o rendendolo non punibile – sarebbe punibile ai sensi dell’art. 600-quater c.p.; analogamente, sarebbe punibile sotto forma di tentativo la condotta di chi – ad esempio facendo solo delle ricerche – abbia compiuto atti diretti in modo non equivoco a procurarsi materiale pedopornografico. Sulla scorta di quanto si legge nelle motivazioni del provvedimento impugnato, tuttavia, non è questo il caso del presente processo, in cui tale prova non è stata raggiunta. E forse – osserva la Corte – nemmeno più di tanto ricercata, essendosi focalizzata la azione degli inquirenti sulla detenzione dei file.

Pertanto, nel rispondere al quesito iniziale – quello, cioè, circa la possibilità di configurare la detenzione di un qualcosa che non è immediatamente visionabile – deve osservarsi che, se anche il Legislatore avesse inteso introdurre nella norma il “consapevolmente” solo per quanto riguarda il “procurarsi” – ma non pare essere così – è evidente che anche la detenzione di un qualcosa, per essere colpevole, debba essere consapevole: per detenere un qualcosa occorre essere in grado di fruirne. E la fruibilità, per quanto riguarda i files, dipende dalla loro allocazione sul pc e dalla loro leggibilità.

Nel caso di specie, dunque, è stata annullata senza rinvio la sentenza di condanna pronunciata in relazione a minuscoli frammenti illeggibili di materiale informatico, in un contesto nel quale non risultava provato che la frammentazione derivasse dalla parziale cancellazione di files previamente scaricati in maniera completa, né che l’imputato disponesse degli strumenti idonei alla ricomposizione in sequenze leggibili dei frammenti rinvenuti.

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