29 Marzo 2024, venerdì
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Il conto del federalismo fiscale: 130% di tasse in più in 20 anni

Conto salato, anzi salatissimo ed avvelenato quello presentato dal federalismo fiscale. Secondo le stime fatte dalla Corte dei Conti e presentate in Parlamento la sua applicazione si è tradotta in +130% di tasse in 20 anni. E per fortuna che doveva servire, tra l’altro, ad alleggerire l’imposizione fiscale sugli italiani.
“La chiamavamo devolution l’illusione italiana della fine del secolo scorso – commenta il Sole24Ore – Prima in salsa padana, poi in versione 2.0 (nuovo millennio, appunto) trasformatasi in federalismo fiscale. Un’illusione. ‘Un fallimento’, ha certificato la Corte dei conti quel che sapevamo bene, dopo che gli italiani e le imprese hanno cominciato ad assaporarne i frutti avvelenati”.

Ascoltato in Commissione bicamerale per l’Attuazione del federalismo fiscale, il presidente della Corte Raffaele Squitieri ha certificato di fatto il fallimento della riforma e, cosa ben più importante per i contribuenti, il costo stratosferico che questa ha avuto per gli italiani. Un costo tra l’altro assolutamente non compensato da alcuna forma di vantaggio. Un costo quindi, di fatto, inutile. E anzi, ascoltando Squitieri, si scopre quella che forse è una sorta di acqua calda ma, restando in tema, sempre di una scoperta che scotta si tratta. Il federalismo presupponeva che lo Stato centrale tagliasse i suoi trasferimenti agli enti locali e, conseguentemente, tagliasse anche le imposte ai cittadini. La prima parte è stata fatta, la seconda no. Gli enti locali, da parte loro, per far fronte ai minori trasferimenti hanno ovviamente aumentato le tasse ai loro contribuenti, ma in molti casi più di quanto sarebbe servito per compensare l’ammanco. Insomma, entrambi, Stato centrale ed Enti locali hanno entrambi “marciato” sulle tasse.
Il presidente della Corte ha rilevato “una mancanza di coordinamento fra prelievo centrale e locale, sconfinata nell’aumento della pressione fiscale complessiva a causa di un effetto combinato: lo Stato centrale che taglia i trasferimenti, ma lascia invariato il prelievo di sua competenza; gli enti territoriali che, per sopperire ai tagli dei trasferimenti, aumentano le aliquote dei propri tributi, a volte anche più dell’occorrente”. Secondo Squitieri, “i risultati conseguiti sono stati diversi” rispetto alle indicazioni delle delega e dei decreti attuativi: “Non solo non si trovano tracce di compensazione fra fisco centrale e fisco locale, ma si è registrata una significativa accelerazione” delle entrate centrali e locali; queste ultime, in particolare, “nell’arco di un ventennio hanno” registrato “un balzo di quasi cinque punti in termini reali, con un incremento dell’ordine del 130%. La forza trainante sulla pressione fiscale complessiva, cresciuta dal 38% al 44%, appare imputabile per oltre i 4/5 alla dinamica delle entrate locali. La quota delle entrate locali su quelle dell’intera Pa si è più che triplicata (dal 5,5% del 1990 al 15,9% del 2012)”.
La Corte ha poi quantificato l’impatto della crisi sul mondo delle Autonomie anche in termini di tagli di spesa: dal 2009 al 2012 i tagli sono ammontati a 31 miliardi, di cui 16 sottoforma di inasprimento del Patto di stabilità interno e oltre 15 come minori trasferimenti. Nel 2012 la spesa complessiva delle amministrazioni locali è stata inferiore a quanto previsto prima della crisi di oltre 35 miliardi, una riduzione sia in termini di spesa corrente (-18,2 miliardi) sia in termini di spesa in conto capitale (-17 miliardi, di cui 11,8 di minori investimenti fissi). La spesa primaria è rimasta in linea con il livello tendenziale pre-crisi in termini di Pil.
In questo quadro la spesa sanitaria ha subito una correzione del profilo tendenziale pre-crisi di oltre 15 miliardi. Con la Legge di stabilità 2014 si prefigura nel prossimo triennio una riduzione della spesa primaria degli enti territoriali di oltre 2 miliardi e al netto della spesa sanitaria (+5,5 miliardi tra 2013 e 2016) quella per le amministrazioni territoriali si ridurrebbe di oltre 7 miliardi, di cui 3 di parte corrente. “I tagli alla spesa – ha detto Squitieri – non sono stati indolori dal punto di vista della tenuta e della qualità dei servizi alla collettività. E’ percepito diffusamente l’offuscamento progressivo delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall’intervento cui è chiamato a contribuire. Nella sanità, ciò ha significato, in molte Regioni, servizi di assistenza ad anziani o disabili inadeguati agli standard; qualità della offerta ospedaliera insufficiente e alla base di un incremento della mobilità sanitaria”. A cui si aggiunge “una crescente difficoltà di mantenimento dei servizi di trasporto pubblico locale”.

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