24 Aprile 2024, mercoledì
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L’assegno di mantenimento deve essere commisurato alla durata del matrimonio?

Cassazione Civile, Sezione Sesta, Ordinanza nr. 3365 del 13 febbraio 2014: Pres. Salvatore Di Palma, Rel. Giacinto Bisogni : Divorzio – impossibilità di procurarsi con propria attività lavorativa mezzi necessari, sussistenza obbligo assegno divorzile – entità dell’assegno commisurata al breve tempo del matrimonio – In applicazione del rito disposto dall’art. 380 bis, ricevuta la relazione del Consigliere, la Suprema Corte in Camera di Consiglio “condivide pienamente” gli elementi evidenziati e con Ordinanza, dopo la discussione, rigetta il Ricorso

COMMENTO A CURA DI GIORGIO VACCARO
L’interessante sentenza in commento, depositata il 13 febbraio 2014, contiene alcuni importanti spunti di riflessione in merito alla “sussistenza” dei motivi di conferma dell’assegno divorzile ed in merito alla “vexata quaestio” della brevità della durata del matrimonio, infine, riguardo alla tematica procedurale, costituisce quasi il “caso di scuola” degli adempimenti previsti dall’art. 380 bis del Codice di Procedura Civile.

La Sesta Sezione della Cassazione, nel giudicare di un Ricorso presentato da un marito, che si doleva dell’errata interpretazione dell’art. 5 della Legge del Divorzio, posta in essere, a suo dire, dalla Corte di Appello di Palermo, ha positivamente statuito, nel solco della propria precedente giurisprudenza, in merito alla conferma dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile in favore del coniuge che, pur se titolare della proprietà di beni immobili, non sia in grado di procurarsi i “mezzi necessari al fine di conservare un tenore di vita “tendenzialmente assimilabile” a quello goduto in costanza di matrimonio”.

In buona sostanza, l’intepretazione della Corte di Appello palermitana, secondo la quale il fatto che il beneficiario dell’assegno sia proprietario di beni immobili, non esclude la necessità di verificare sempre in concreto, la proporzione fra i redditi dei due ex coniugi.

Sotto tale ultimo profilo “l’attualità” del giudizio di sussitenza della “sproporzione”, ove il beneficiario stesso non sia in grado di procurarsi adeguati redditi, per avere le proprie condizioni di salute gravemente compromesse (come rilevato dalla CTU svolta in istruttoria), porta la necessità di riconoscere, come dovuto, l’assegno divorzile.

Il dato da confrontare nel considerare la “sproporzione tra i redditi”, è non solo quello della titolarità di proprietà immobiliari, ma coinvolge l’intera valutazione dei redditi comunuqe a disposizione delle parti: ed in questo senso l’ambito reddituale e patrimoniale degli ex coniugi deve essere sempre confrontato.

Nel caso in cui si accerti la sussitenza di una sproporzione fra i redditi (dice l’Ordinanza sul punto : rilevando come la sproporzione fra i redditi fosse prevalente, rispetto al dato delle disponibilità immobiliari) il successivo focus valutativo s’incentra sulla capacità dell’astratto beneficiario di poter, con le proprie capacità lavorative, conservare un tenore di vita “tendenzialmente assimilabile a quello goduto in costanza di matrimonio”.

Ed è solo ove il giudizio su tali capacità lavorative sia negativo (nel caso concreto esiste nella documentazione processuale idonea ctu che accerta le ridotte capacità della ex moglie) che si può pervenire al riconoscimento di un “assegno divorzile”.

Posta la preliminare considerazione, in ordine alla sussistenza del diritto all’assegno divorzile, la successiva valutazione è quella relativa alla “misura” dello stesso.

Ed anche in tal senso la sentenza della Corte di Appello di Palermo, passa indenne il vaglio della Cassazione, in quanto la brevità della durata del rapporto coniugale è stata considerata specificamente dai giudici del merito per arrivare ad una determinazione della misura del contributo divorzile, che nel caso de quo, rispetto alla somma richiesta di € mille, è stato determinato nella minor somma di € duecento mensili.

Ne consegue come l’Ordinanza del 13 febbraio ultimo scorso, deve essere annoverata tra i precedenti giurisprudenziali che identificano come presupposto dell’assegno divorzile sia l’inadeguatezza “non colpevole” dei mezzi propri, a mantenere un tenore di vita assimilabile a quello avuto in costanza di matrimonio.

Ed in tal senso contribuisce al mantenimento di un criterio, sicuramente previsto dalla norma (art. 5 legge 898/70) ma che risente, più di tanti altri, del mutato contesto economico-lavorativo che vive in concreto il paese : l’inadeguatezza non colpevole a mantenere un tenore di vita, goduto in costanza di matrimonio, è infatti in perfetta rotta di collisione con la difficoltà per la parte, astrattamente onerata dell’assegno, a mantenere essa stessa, per la successiva fase di vita, la possibilità di riorganizzare una “accettabile” disponibilità economica!

La “irrilevanza” sostanziale delle condizioni dell’onerato e del suo nuovo contesto di vita, dato che la norma chiede di verificare l’esistenza di una sproporzione reddito-patrimoniale e l’impossibilità a mantenere il “precedente tenore di vita” per dar luogo all’attribuzione dell’assegno è un elemento che sempre di più confligge con la realtà : ed alla soluzione di un tale contrasto è chiamata tutta l’opera ermeneutica futura.
L’ultima annotazione rilevante dell’Ordinanza è quella relativa agli aspetti procedurali : nell’esame della stessa infatti incontriamo l’iter della definizione del giudizio di Cassazione in Camera di Consiglio.
Questo via è possibile laddove il Consigliere Relatore sia dell’avviso di poter definire l’intero giudizio ai sensi dell’art. 375 e nel caso in esame, per il motivo di cui al punto 5) ovvero quello relativo al rigetto dello stesso per manifesta infonadtezza.
Depositata, infatti, la prevista relazione che conteneva la “concisa esposizione delle ragioni che possano giustificare la relativa pronuncia” è stata emessa, nella camera di Consiglio del 22 ottobre 2013, l’Ordinanza di rigetto, in commento, che alla luce del punto 7 della stessa relazione (che così recita : “Sussitono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso”) sul presupposto della piena condivisione della Relazione ha poi provveduto al rigetto del ricorso ed alla condanna del ricorrente alle spese.

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