24 Aprile 2024, mercoledì
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Emanuela Orlandi. Marco Fassoni Accetti mitomane, non pedofilo assassino

Il mistero di Emanuela Orlandi prosegue e si infittisce. Il “supertestimone” auto accusatosi della scomparsa di Emanuela e diventato l’unico imputato rimasto in scena, vale a dire il fotografo romano Marco Fassoni Accetti, smentisce il proprio avvocato, Maria Calisse.
Il legale ha infatti chiesto ai magistrati che vengano interrogati come testimoni due prelati del Vaticano, il cardinale Audrys Backis e il vice Camerlengo della Camera Apostolica arcivescovo Pier Luigi Celata.

Ma Marco Fassoni Accetti lo ha smentito con una apposita raccomandata alla Procura della Repubblica, il cui succo è: “Non voglio che i due prelati vengano interrogati”. A questo punto per essere conseguente dovrebbe ritirare la fiducia alla Calisse e nominare come difensore un altro avvocato, come farebbe chiunque altro dopo avere clamorosamente smentito davanti ai magistrati il proprio difensore. Tanto più che già da molti mesiMarco Fassoni Accetti si dice alla ricerca di un altro professionista per sostituire Calisse. Che per parte sua è ancora più strano che non abbia provveduto già a rimettere il mandato di propria iniziativa: dopo una tale smentita l’espressione “avvocato di fiducia” suona impropria. Staremo a vedere.
Nel frattempo il clamore sul caso di Emanuela Orlandi pare attenuato, ma è un’impressione sbagliata: si è semplicemente trasferito, per ora, dai programmi televisivi amanti degli scoop a tutti i costi al vasto e più discreto mondo di Internet e Facebook, dove registra un crescendo di polemiche, accuse e contro accuse sempre più feroci.
Con eccessi tali da far nascere la voce che a “Chi l’ha visto?” stiano meditando se non sia il caso di “imbarcare” Antonio Goglia, l’ex carabiniere che ha esposto più volte su Blitzquotidiano la sua complicata teoria su chi e perché ha fatto sparire Emanuela Orlandi.
La trama tessuta da Goglia cuce infatti Brigate Rosse italiane, guerriglie sudamericane, misteriose accademie e associazioni vaticane dedite a oscuri culti dei martiri e l’ormai immancabile mons. Piero Vergari, l’ex rettore della basilica di S. Apollinare. Insomma, un piatto ricco che oltre a riciclare avanzi delle abboffate precedenti aggiunge bocconi decisamente più saporiti e che permetterebbe quindi chissà quante altre puntate sul mistero Orlandi.
Antonio Goglia inoltre ha il pregio di essere stato un carabiniere, non è cioè un artista più o meno bohemien o maledetto sospettabile di pedofilia e omicidi rituali connessi. Non si rischierebbe quindi di passare dalle stelle alle stalle come avvenuto invece con il fotografo romano. Le uniche incertezze derivano dal fatto che il Vaticano di Papa Francesco ha fatto sapere ai vertici della Rai di essere stufo delle maldicenze tirate in ballo da oltre 30 anni. Anche Matteo Renzi, il nuovo segretario del Pd, partito di riferimento di Raitre, avrebbe fatto sapere con discrezione che “il troppo stroppia”.
Certo è che dopo avere scaricato velocemente e in malo modo Marco Fassoni Accetti, incautamente portato in trionfo ai primi dello scorso aprile, “Chi l’ha visto?” ha intanto preso le distanze anche dalla signora Maria Laura Garramon, che ne aveva praticamente preso il posto sullo schermo accusandolo di avere ucciso intenzionalmente suo figlio Josè, investito la sera del 20 dicembre 1983 all’età di 13 anni da un furgone Ford Transit guidato da Marco Fassoni Accetti.
Per quell’investimento Marco Fassoni Accetti venne arrestato, processato e condannato per omissione di soccorso e omicidio colposo. Quando a fine dello scorso marzo è andato dai magistrati per auto accusarsi del “rapimento” di Emanuela Orlandi, affermando che la scomparsa doveva essere solo temporanea e che serviva come pressione su una “fazione vaticana”, Marco Fassoni Accetti ha “rivelato” che Josè gli sarebbe stato gettato apposta contro il furgone da membri di quella “fazione” per bloccare una “operazione” della “fazione nemica”, quella cioè di riferimento dello stesso Marco Fassoni Accetti.
Costretta così a rivivere di colpo e con clamore il dolore di 30 anni fa, la mamma di Josè ha reagito sommergendo il nuovo “supertestimone” di accuse. Lanciate prima in tv e poi rincarando la dose con una apposita pagina su Facebook, “Giustizia per Josè Garramon”. Il leit motiv di tale pagina è insistere ad accusare senza mezzi termini Marco Fassoni Accetti non solo di essere un pedofilo, ma anche “un omicida seriale” e di avere perciò sulla coscienza la morte di chissà quanti minorenni.
Per parte sua Marco Fassoni Accetti alla porta chiusagli in faccia da “Chi l’ha visto?” ha risposto aprendo un sito Internet, dove alterna “rivelazioni”, “prove” e accuse contro chi passa al setaccio le sue affermazioni.
Preso sul serio dal giornalista di Radio Radicale Dino Marafioti, stava scrivendo con lui un libro “bomba”. Purtroppo però la scorsa estate Marafioti è stato stroncato prematuramente da un infarto. Ora alla “bomba” sono tentati di metter mano altri giornalisti, la guerra scatenata dalla signora Garramon li ha resi però più cauti. Marco Fassoni Accetti ha dovuto così ripiegare sulla conquista di un gruppo di ammiratrici alle quali affidare il compito di rintuzzare energicamente su Facebook e altrove le cannonate della Garramon.
Ammiratrici che non vanno neppure loro troppo per il sottile. E così la guerra trasuda accuse, colpi bassi, “rivelazioni” e odi reciproci francamente sbalorditivi. Con eccessi che in tv sarebbero impediti o comunque moderati, ma che nel vasto web non hanno invece né freni né limiti. Vale quindi senz’altro la pena di fare il punto della situazione, decisamente intricata e molto probabilmente foriera di nuovi “botti”.
Per orientarci è bene andare per ordine, dividendo il racconto in tre o quattro parti. Tre o quattro atti di una lunga storia. Che purtroppo non è una piece per teatro.
ATTO PRIMO
Dopo l’exploit delle “rivelazioni” di Marco Fassoni Accetti, la signora Garramon ha chiesto la riapertura delle indagini sulla morte del figlio. Nessuno ha mai saputo spiegare come Josè quel 20 dicembre sia arrivato a vari chilometri di distanza da casa, zona Eur, dopo esserne uscito attorno alla 18 per andare dal barbiere, finendo invece mortalmente investito da un furgone. Per l’esattezza, da un furgone Ford Transit 100 color celeste targato Roma R-01011, tra le 19:30 e le 19:40, su viale Castelporziano all’altezza della Casina del Bosco, agro di Casalpalocco, zona cioè tra Roma e Ostia.
Alla guida del furgone c’era Marco Fassoni Accetti. Che già allora, 28 enne, aveva la passione e si dilettava come fotografo e regista anche se nel rapporto stilato dai carabinieri il giorno successivo all’investimento viene definito “impiegato, pregiudicato per reati vari contro la persona e contro il patrimonio”. Impiegato dove? Non è specificato. Neppure è specificato quali fossero quei “reati vari”. Forse erano strascichi dell’attività politica prima tra i neofascisti e poi tra i radicali? Forse, ma non si sa.
In compenso, si sa che Marco Fassoni Accetti, nato a Tripoli nel novembre 1955, venne processato e condannato per omicidio colposo e omissione di soccorso: arrestato il 21 dicembre 1983. detenuto fino a maggio 1985 e poi ai domiciliari fino a giugno 1986. In effetti, Marco Fassoni Accetti, dopo avere investito il piccolo Josè, non si fermò. Per il semplice motivo che pioveva a dirotto, Marco Fassoni Accetti – che era da solo – anziché guardare avanti si guardava molto attorno, aveva infatti sbagliato strada e aveva da poco fatto una inversione di marcia per tornare indietro, verso via Cristoforo Colombo donde era venuto diretto a Ostia Lido. Al momento dell’impatto Marco Fassoni Accetti l’investito neppure lo vide, in quel momento stava guardando di lato e negli specchietti retrovisivi. Tant’è che non capì di avere investito qualcuno e il corpo di Josè non fece neppure in tempo a vederlo per tre ben precisi motivi:
-Marco Fassoni Accetti venne colpito in faccia da schegge del parabrezza andato di colpo in frantumi nella parte sopra il volante, perciò per qualche attimo il guidatore non poté vedere nulla. Poi si renderà conto che nel togliersi le schegge dai capelli si era tagliato le dita di una mano, imbrattandosi di sangue il giubbotto;
– la strada era buia, non illuminata dai lampioni e resa ancora più scura dagli alberi di pino che la fiancheggiavano;
– dopo avere colpito il parabrezza, il corpo adolescente di Josè Garramon scivolò sul tettuccio del furgone e finì di nuovo sull’asfalto, alle spalle del Ford. Che proseguiva la sua strada per un po’ prima che Marco Fassoni Accetti decidesse di fermarsi per cercare di capire se il parabrezza fosse stato colpito da un sasso o da un ramo spezzato.
Nell’urto il Ford ha perso la mascherina del frontale, un pezzo della ventola color rosso di raffreddamento e un pezzo di vernice della carrozzeria. Poi però a Marco Fassoni Accetti venne il sospetto che si fosse trattato di un sasso scagliato da qualcuno per fermarlo e rapinarlo, come accade non di rado in zone non molto frequentate. E poiché a bordo aveva un borsone con un’attrezzatura fotografica e cinematografica piuttosto costosa, temeva potessero rapinarlo soprattutto di quella. Motivo per cui proseguì la corsa per un pezzo prima di fermarsi per fare le seguenti operazioni:
– nascondere il borsone sotto un cespuglio;
– abbandonare il furgone perché proseguiva a singhiozzo a causa del motore che s’era messo a fare le bizze, cercare quindi di lasciarlo dietro altri cespugli, più alti, in modo che facessero almeno un po’ da riparo dalla pioggia per l’abitacolo col parabrezza fracassato.
Marco Fassoni Accetti dichiara ai carabinieri di avere lasciato la chiave inserita “per evitare che qualcuno potesse pensare che si trattava di un automezzo abbandonato e potesse quindi rubarlo”.
Strano, perché semmai è più facile rubare un furgone non abbandonato, ma con la chiave inserita. Nel nascondere il meglio possibile il furgone Marco Fassoni Accetti non si accorge di essere all’altezza dei numeri civici tra il 50 e il 59 di via Dobbiaco, sempre in zona agro di Casalpalocco. Nel rapporto dei carabinieri firmato il giorno dopo dal tenente Roberto Petrecca, comandante della compagnia di Roma Ostia, il numero civico a pagina 1 è il 59, ma a pagina 6 diventa il 50;
– raggiungere a piedi la fermata più vicina degli autobus per Roma e tornarsene a casa con altri autobus;
– farsi prestare dal padre la Fiat 127 color amaranto, procurarsi dei sacchi di plastica e cercare la sua amica Patrizia, del cui cognome in omaggio alla legge sulla privacy indichiamo solo le iniziali D.B. perché lo accompagnasse, a ormai quasi l’1 e 20 di notte del giorno successivo, 21 dicembre, dove aveva nascosto l’attrezzatura fotografica e il furgone. Il programma era di coprire l’abitacolo con i sacchi di plastica per evitare che il furgone si allagasse e tornare a recuperarlo il giorno dopo, magari con un meccanico.
Ed è proprio mentre con la sua amica girovaga sotto la pioggia battente ancora alla ricerca del furgone, dopo avere trovato il cespuglio del borsone, che viene fermato a bordo della Fiat 127 poco prima delle 4 di mattina dalla pattuglia dei carabinieri Giovanni De Mattia, Francesco Buoninconti e Carmine Pellegrino, che bloccavano con l’autoradio di servizio via di Castelporziano all’altezza dell’incrocio con via Francesco Cilea.
Le ricerche dell’Arma di Ostia Lido sono iniziate dopo la segnalazione telefonica di un vigile notturno dell’ospedale S. Agostino, dove era stato portato il corpo esanime e insanguinato di un bambino evidentemente investito da un automezzo e notato tra le 19,40 e le 20 sul ciglio della strada da un autista dell’Atac.
Anziché dire la verità, per cercare di sbrigarsi prima Marco Fassoni Accetti si inventa una scusa:
“Siamo una coppia e ci siamo persi”.
I carabinieri però si insospettiscono per le macchie di sangue sul su giubbotto e, dopo avere preso i documenti di entrambi e chiesto informazioni in centrale, si insospettiscono ancora di più e li portano in caserma.
Lui infatti, come abbiamo visto, risulta un pregiudicato per “reati vari”. Lei è schedata come simpatizzante della sinistra extraparlamentare. E poiché nella zona c’è la villetta del magistrato Severino Santiapichi, presidente della corte impegnata in particolare a processare i militanti delle Brigate Rosse responsabili del sequestro e dell’uccisione dell’onorevole Aldo Moro, i carabinieri sospettano che i due in realtà siano brigatisti.
Tant’è che avvertono un magistrato. Che arriva di corsa e bombarda separatamente il fotografo e la sua amica con domande su brigatismo e affini, finché la donna sempre più sbalordita a un certo punto parla del furgone rotto e del fatto che lo stavano semplicemente cercando.
Ancora oggi Santiapichi ricorda come il collega una volta rientrato in tribunale gli abbia parlato divertito dello sbalordimento dei due a sentorsi dire che a fermarli erano stati “i carabinieri della scorta del magistrato Severino Santiapichi, che abita proprio vicino a dove vi hanno fermato”. Frase scandita guardando negli occhi i due fermati per tentare il classico saltafosso: non era infatti vero che quei carabinieri fossero la scorta di Santiapichi, ma è stato detto separatamente al fotografo e alla sua amica per osservarne la reazione e capire così se nascondessero qualcosa.
Fine dei sospetti di chissà quale delitto in preparazione, rilascio immediato della donna e contestuale accusa a Marco Fassoni Accetti di pedofilia e omicidio volontario. Accuse che verranno in seguito derubricate in quelle di omissione di soccorso e omicidio colposo.
Prima di portarlo a Roma nel carcere di Regina Coeli i carabinieri lo invitano a nominarsi un avvocato. Passato da qualche tempo dal neofascismo all’allora combattivo partito radicale di Marco Pannella, Marco Fassoni Accetti sceglie i legali Renato Di Castro e Mauro Mellini. Quest’ultimo era uno degli avvocati più combattivi, garantisti e famosi dell’epoca, nonché tra i fondatori del Partito radicale, per il quale siederà a lungo in parlamento a partire dal ’76.
Proprio perché inviso a molti magistrati per le sue battaglie, il padre di Marco Fassoni Accetti, Aldo, lo pregherà di rinunciare alla difesa prima del processo in aula.
“Acconsentii volentieri, senza offendermi, perché capivo bene che le preoccupazioni del padre non erano infondate”.
A difenderlo anche al processo resterà Di Castro, del quale Marco Fassoni Accetti avrà modo di conoscere il figlio Silvio, oggi avvocato anche lui. Giudice istruttore dell’inchiesta Claudio D’Angelo.
“Molto duro con il mio assistito”, ricorda Mauro Mellini: “Arrivò a dirgli che l’avrebbe lasciato in galera finché non gli avesse detto che conosceva Josè Garramon e perché. Tanto che una volta Marco Fassoni Accetti mi disse che era meglio che si addossasse qualunque accusa D’Angelo volesse addebitargli”.
ATTO SECONDO
Passano gli anni, 29 e mezzo per l’esattezza, e Marco Fassoni Accetti a fine marzo 2013 si presenta al magistrato Giancarlo Capaldo, che conduce la nuova rata dell’interminabile mistero di Emanuela Orlandi, rata nata dalle fantastiche narrazioni di un precedente “supertestimone”, Sabrina Minardi, che ha raccontato tutta un’altra “verità”.Marco Fassoni Accettiin una lunga serie di “confessioni” e “rivelazioni” sostiene in buona sintesi quanto segue:
– a organizzare il “rapimento” di Emanuela Orlandi – ma anche di Mirella Gregori (!) – è stato lui. La ragazza era consenziente (!) e anche i genitori (!). Il “rapimento” doveva essere solo una messinscena di una “fazione” vaticana, quella alla quale faceva riferimento lo stesso Marco Fassoni Accetti, contro un’altra “fazione”. Marco Fassoni Accetti è sempre stato un grande appassionato delle beghe, congiure, cospirazioni, intrighi, intrallazzi, macchinazioni, trame, complotti e lotte intestine tra fazioni vaticane, innamorato in particolare della Roma papalina dell’epoca delle statue “parlanti”, come quelle del Pasquino, e del boia Mastro Titta, che decapitò in piazza quasi 500 condannati nel corso della sua onorata carriera: perciò per lui tirare in ballo le “fazioni vaticane” è quanto mai naturale.
– La “fazione avversa” a quella cui faceva riferimento Marco Fassoni Accetti non trova migliore metodo di lotta che sequestrare Josè Garramon – chissà perché proprio lui, figlio di un ambasciatore – aspettare Marco Fassoni Accetti e il suo furgone sul Viale di Castelporziano e lanciargli contro il malcapitato ragazzino.
Come abbia fatto la “fazione avversa” a sapere che Marco Fassoni Accetti sarebbe transitato a quell’ora per quel tratto di strada è uno dei tanti misteri della narrazione di Marco Fassoni Accetti , ma procediamo. Il suo essere capitato per caso e per errore dove ha investito Josè viene trasformato da Marco Fassoni Accetti in una “operazione contro il magistrato Severino Santiapichi”, la cui villetta si trovava da quelle parti.
Il demenziale gettare contro il Ford Transit di Marco Fassoni Accetti un ragazzino preso a caso diventa un modo della “fazione avversa” per contrastare “l’operazione”. Eppure i telefoni nel dicembre ’83 esistevano già, motivo per cui per mandare all’aria l’“operazione” sarebbe bastata una telefonata. Anche anonima.
Non c’era di sicuro nessun bisogno di rapire e fare ammazzare un adolescente, poco più che bambino, correndo oltretutto non pochi rischi per organizzare il tutto. Ma procediamo.
Non prima di avere preso nota che almeno 16 persone che lo hanno conosciuto bene tra gli anni ’70 e ’90 – parenti, compagni di militanza neofascista prima e radicale dopo, operatori forensi vari – mi hanno garantito che Marco Fassoni Accetti non sapeva neppure da lontano che esistesse un magistrato di nome Severino Santiapichi. Tanto meno dove lavorasse e meno ancora dove abitasse.
I radicali non lo vedevano di buon occhio “per la sua grande ammirazione per le armi, fissazione fallica derivata dall’estrazione neofascista”. Ma anche tra i non radicali non piaceva molto “la sua tendenza a spararle grosse”. Qualcuno ricorda “esagerazioni per darsi importanza, protagonismo eccessivo e racconti da affabulatore”.
Qualcun altro spiega: “Non c’è bisogno di dire che era un mitomane, però il suo piacere nel mettersi in mostra in realtà non sue, comunque gratificanti, è documentato dal travestirsi per esempio da prete e da Roberto Benigni. Come fotografo e regista indipendente si credeva un Pigmalione, i fatti però dimostrano che non lo è mai stato”.
– Ad accompagnarlo nell’”operazione” contro Santiapichi c’era una “donna bionda”. E anche di questa Marco Fassoni Accetti rifiuta di fare il nome così come rifiuta di fare qualunque altro nome di persone a suo dire in grado di confermare la sua fluviale narrazione.
Anche a voler tralasciare il fatto che la versione di Marco Fassoni Accetti fa acqua da troppi buchi, una cosa è certa: la madre di Josè Garramon è stata fatta ripiombare di colpo nell’inferno, costretta come è stata a rivivere dall’improvviso clamore il dolore atroce di 30 anni fa.
E dato che ci siamo vale la pena di notare che la versione in questione è di fatto una nuova tappa della Via Crucis che troppi “supertestimoni” stanno infliggendo da ormai più di 30 anni agli Orlandi e ai Gregori. Viene calpestato il dolore di ben cinque famiglie: a quelle degli Orlandi, Gregori e Garramon bisogna infatti aggiungere anche le famiglie Skerl e Diener, visto che Marco Fassoni Accetti nella sua narrazione ci ha tenuto a infilare anche la morte violenta delle loro rispettive ragazze: Katy e Paola.
ATTO TERZO
La reazione furiosa della signora Garramon appare quindi più che giustificata. Non è però giustificato accusare Marco Fassoni Accetti di essere un pedofilo, per giunta dedito a omicidi seriali. “Pregiudicato” sì, stando almeno al citato rapporto dei carabinieri, ma pedofilo incallito e pluriassassino no.
Sono una ventina le persone, amiche intime attuali comprese, che mi hanno escluso qualunque possibilità di pedofilia di Marco Fassoni Accetti . E in ogni caso per accusare qualcuno di reati gravi, quali l’essere un pluriomicida seriale, ci vogliono le prove. Altrimenti si tratta di diffamazione e calunnia. Comprensibili come reazione motivata dalla rabbia del dover rivivere un dolore atroce. Comprensibili, ma non ammissibili.
Sta di fatto che la signora Garramon nella pagina “Giustizia per Josè Garramon” continua a ripetere non solo le gravissime accuse contro Marco Fassoni Accetti, ma anche ad accusare la donna fermata con lui il 21 dicembre di essere una sua complice nonostante abbia un alibi di ferro.
Fin dal rapporto dei carabinieri del 21 dicembre ’83 si apprende infatti che quel disgraziato 20 dicembre è stata vista nell’oratorio teatro S. Paolo, impegnata nelle prove di uno spettacolo dalle 17,30 alla mezzanotte e mezzo. Ma poiché la signora Patrizia ha una gemella, ecco che la signora Garramon lancia l’accusa di essersi fatta sostituire dalla gemella per poter accompagnare Marco Fassoni Accetti nella sua impresa pedofilo assassina: accompagnarlo cioè a rapire Josè, per poi accopparlo mentre fuggiva. Come si vede, alle “fazioni vaticane” di Fassoni Accetti fa da pendant un diabolico “accordo” tra gemelle.
La guerra tra i due fronti è diventata così ancor più virulenta, con accuse e insinuazioni reciproche sconvolgenti. Ho cercato di capire il perché rivolgendomi direttamente alle persone coinvolte nei due fronti, ma ho capito subito che era meglio lasciar perdere. Troppo incattiviti i protagonisti. Anche se più faticoso, meglio studiarsi gli atti giudiziari.
Con i magistrati Marco Fassoni Accetti ha parlato della misteriosa “donna bionda”, ma si è ben guardato dall’inventarsi la presenza della sua amica Patrizia nel furgone Ford dell’”operazione Santiapichi”. A infilarla sul furgone e ad appiccicargli addosso accuse infamanti è stata la signora Garramon. che il 22 novembre scorso ha dichiarato all’Ansa:
“Ricordo che Fassoni Accetti venne a bussare alla porta di casa nostra vestito da prete. Disse che era di una vicina parrocchia e che stava facendo un giro di visite nelle case del quartiere. Lo feci accomodare e parlammo un po’. Poi andò via e non l’ho mai più visto”.
La sua cameriera dell’epoca nella puntata del 12 giugno scorso di “Chi l’ha visto?” ha sostenuto che un tizio qualificatosi come “un fotografo che doveva consegnare delle foto di bambini” suonò alla porta di casa qualche tempo prima del 20 dicembre ’83, ma lei non lo fece entrare. Da notare che la puntata televisiva in questione era visibile fino a qualche tempo fa con il seguente link, http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f08d953b-38ee-4940-b23e-ca7210099e58.html , che però non è più reperibile. E’ inevitabile che dopo 30 anni questi nuovi ricordi possano parere costruiti col senno di poi, meglio sarebbe stato raccontarli subito al magistrato.
C’è però un particolare che non si può liquidare come se nulla fosse. Del nuovo ricordo della signora Garramon è lecito dubitare anche perché salta fuori solo oggi, quando cioè si è scoperto che effettivamente Marco Fassoni Accetti nel suo esercitare per diletto il teatro di strada si travestiva davvero da prete, e qualcuno sostiene lo facesse anche alle manifestazioni dell’anticlericale partito radicale.
Del ricordo della madre di Josè è lecito dubitare, però…. Però c’è un però. Di quella visita dello strano prete la signora ne ha parlato già due anni fa – ripeto: due anni fa – con un sacerdote del suo Paese. Il nome del sacerdote? Lo conosco, ma non lo faccio, non qui. Perché? Per due motivi.
Il primo è che parlando per telefono o via Skype o scrivendo via mail al sacerdote in questione non ho nessuna garanzia che si tratti davvero di lui e non di una volenterosa comparsa. Il secondo motivo è evitare che Marco Fassoni Accetti , come ha già fatto in altre occasioni simili, ci metta subito una delle sue pezze. Faccio un esempio di pezza “fassoniana”.
È noto che io ho scritto e raccontato in interviste di una confidenza fattami da una fonte vaticana secondo la quale Emanuela Orlandi sarebbe morta la sera stessa della scomparsa nel corso o alla fine di “di un incontro conviviale” in una villetta di Monte del Gallo, zona a due passi dalle mura vaticane a ridosso della stazione ferroviaria Roma S. Pietro. Beh, Marco Fassoni Accetti ha “rivelato” che è stata la sua “fazione” a mettere in giro a bella posta,
“la voce che a Monte del Gallo ci fosse una villa dove si tenevano festini con minorenni”. “Lo abbiamo fatto per deviare le indagini e i sospetti”, ha spiegato.
ATTO QUARTO
A questo punto è necessario soffermarsi sul perché Marco Fassoni Accetti, pur raccontando una storia così intricata e incredibile, si rifiuta di fare nomi, neppure uno, di chi potrebbe magari confermare le sue “rivelazioni”. Da una parte afferma di avere “dato la sua parola d’onore” di non far nomi, anche se non si capisce come possa averla data alle decine e decine di persone non solo della sua “fazione” di riferimento, ma anche ai molti annessi e connessi.
Dall’altra afferma che
“è inutile che io faccia nomi, perché qualcuno potrebbe smentirmi per paura e opportunismo”.
Giusto! C’è sempre chi potrebbe smentire la verità dei fatti, in qualunque storia e situazione. Ma è statisticamente IMPOSSIBILE che a smentire sia il 100% dei testimoni, che in questo caso sono evidentemente una marea. In qualunque settore della scienza quando un esperimento non è confermato da nessuna sua esecuzione, ed è addirittura smentibile dal 100% delle sue esecuzioni, se ne conclude che si tratta di un esperimento basato su presupposti sballati. Marco Fassoni Accetti può dire ciò che vuole, giustificare la sua omertà come più preferisce, ma questa è la realtà: una cosa non è vera finché non si può DIMOSTRARE che è tale.
E in ogni caso: se si preferisce non fare nessun nome per timore che qualcuno possa smentire, è ancor più assolutamente grottesco avere fatto tutte quelle chilometriche “rivelazioni” se si ritiene impossibile già in partenza farle avvalorare da qualcuno.
Senza contare che nella strategia del raccontare “tutta la verità sul caso Orlandi”, evitando però accuratamente di dirla facendo nomi, il fotografo e regista Marco Fassoni Accetti è stato anticipato il 27 giugno 2008, cioè di ben 5 anni, da una certa Gabriella Pasquali Carlizzi, che si piccava tra l’altro di essere pronipote “del potente cardinale S. G.” e moglie di un architetto con incarichi delicati affidatigli dal Vaticano.
Dato che “Chi l’ha visto?” l’ha scaricato, e in malo modo, e dato che i magistrati non pare siano convintissimi dei suoi racconti, Marco Fassoni Accetti ha aperto un suo sito per sostenere e “dimostrare” che tutto ciò che ha detto è vero.
Ho già smontato, con cinque articoli su Blitzquotidiano, le sue affermazioni più importanti, mostrandone le contraddizioni più insanabili. Ci sono altre contraddizioni, ma è meglio non dire quali: da bravo regista, Marco Fassoni Accetti potrebbe migliorare la scena con qualche ritocco o sostenere che lui l’ha fatto apposta a contraddirsi, magari “per lanciare un messaggio a chi sa perché si decida a parlare”.
Quel che è certo è che nel web e in Facebook Marco Fassoni Accetti ha non poche ferventi ammiratrici. Alcune delle quali lo difendono a spada tratta in varie pagine e gruppi Facebook, pur essendo evidente che non conoscono la materia e che si basano solo sul loro entusiasmo.
È assodato che Marco Fassoni Accetti appassionato come già sappiamo dei misteri e delle trame vaticane non solo dei secoli bui, è rimasto a suo tempo molto colpito dal mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, ragazza appunto vaticana.
È anche assodato che si diede in qualche modo da fare per cercare di inserirsi nel mistero, forse con qualche comunicato fasullo o qualche telefonata come “portavoce dei rapitori”. A Fassoni Accetti la scomparsa della ragazza ricordava il sequestro di due papi: quello di Bonifacio VIII, avvenuto ad Anagni nel settembre del 1303 per ordine di Filippo il Bello e per mano di Sciarra Colonna, e quello di Gregorio VII, avvenuto nel 1075 a Roma per la più prosaica mano di un possidente, tale Cencio.
Infilarsi in qualche modo nel mistero Orlandi equivaleva a infilarsi nel filone di quegli storici sequestri. Infilarsi cioè nel mondo delle trame vaticane tanto care a Marco Fassoni Accetti almeno quando era giovane. Il caso vuole che di fronte a Monte del Gallo ci sia una chiesa intitolata proprio a S. Gregorio VII, affacciata sulla via omonima, e che qualcuno abbia fatto trovare in un confessionale al parroco don Giovanni Ranieri Lucci – il 14 maggio 2001 – un teschio che per settimane è stato attribuito col solito clamore ora a Emanuela Orlandi, ora a Mirella Gregori, scomparsa un 7 maggio . Chi può avere avuto interesse a lasciare quel teschio proprio in quella chiesa e proprio a ridosso dell’anniversario della Gregori?
Gli inquirenti vogliono appurare se è la voce di Marco Fassoni Accetti quella della telefonata a “Chi l’ha visto?” del 4 maggio 2011 con la quale un anonimo, che la conduttrice Federica Sciarelli stranamente mostra di conoscere perché lo definisce
“una persona calma”, “rivela” che il “rapimento della Orlandi è collegato a quello di Mirella Gregori”.
Affermazione vecchia di 28 anni e ipotesi già esclusa dalla magistratura quanto meno con la sentenza istruttoria di Adele Rando del dicembre 1997. In attesa di accertamenti, non si può escludere che Marco Fassoni Accetti, vistosi preso sul serio nel maggio 2011, abbia pensato a un rilancio in grande stile, quello realizzato sempre con “Chi l’ha visto?” il 3 aprile dell’anno scorso dopo essere andato il 26 marzo dal magistrato a iniziare il racconto delle sue “memorie”.
PERCHE’ LO FA: FILM O PROTAGONISMO?
A palazzo di Giustizia c’è chi immagina i seguenti scenari:
– Marco Fassoni Accetti punta a farsi rinviare davanti al giudice per l’udienza preliminare in modo da poter patteggiare al volo una condanna. Necessariamente minima, perché il “sequestro” che s’è addossato lo ha prudentemente definito “consenziente”, aggiungendo anche che “l’accordo era che Emanuela e Mirella tornassero a casa dopo qualche tempo”.
Cosa sia successo dopo lui non lo sa: la “fazione avversa” lo ha infatti messi fuori gioco per qualche anno gettandogli contro il furgone il povero Josè e mandandolo così diritto in galera… Con una condanna necessariamente minima, più che altro ormai solo simbolica, l’ego di Marco Fassoni Accetti sarebbe gratificato dal passare finalmente alla storia. Se si trovasse un finanziatore, un produttore, al dilettevole della fama si potrebbe aggiungere l’utile di un filmone, o di una serie per una tv: è o non è Marco Fassoni Accetti un regista? Non c’è forse più di un progetto di film, compreso uno per la Rai a tesi tra loro diverse sul modello pirandelliano di “Uno, nessuno e centomila”?
– L’avvocato Maria Calisse, sia pure almeno in apparenza sconfessata dal suo assistito, la tira il più possibile per le lunghe chiedendo di interrogare testimoni vaticani di rango, mossa che se accolta assicura tempi più che lunghi.
Nel frattempo nell’immaginario collettivo dei patiti del mistero Orlandi e dei misteri in generale si sedimenta sempre di più l’immagine di Marco Fassoni Accetti come “il rapitore”: il più famoso della Storia dopo Paride che rapì Elena di Troia. Tirandola per le lunghe, evitando di fare nomi eccetto quelli di testimoni impossibili da interrogare,Marco Fassoni Accettisi accontenta dell’archiviazione, ma puntando a ottenere che venga messo per iscritto che “non si può affermare ma neppure escludere” che lui abbia davvero fatto quel che dice di avere fatto.
Tanto gli basterebbe per vendersela come per la faccenda del flauto “di Emanuela”. I magistrati dicono che non c’è prova si tratti davvero dello strumento di Emanuela, e Marco Fassoni Accetti ribatte che quindi non lo si può neppure escludere. Anche in questo caso il passaggio alla storia è assicurato. E si può sperare in un produttore di film.
I vecchi amici e conoscenti di Marco Fassoni Accetti sono però di diverso avviso, pronti a giurare:
“Ma no, Marco non ha nessun interesse materiale in questa storia. Ha fatto tutto solo per entrare nel mondo delle trame e dei misteri vaticani. E intanto, desideroso com’è sempre stato di piacere, incassa di sicuro l’ammirazione di molte fan, che lo vedono come un incrocio tra un Carmelo Bene e un Dario Argento e lo sommergono di messaggi molto affettuosi soprattutto via Facebook”.
Insomma, anche nell’ipotesi più ingloriosa, vale a dire in caso di rinvio a giudizio per ostruzione della giustizia, lo scenario è il migliore per poter passare per grande vittima. “Del sistema”, ovviamente. E farsi così consolare affettuosamente dalle ammiratrici. Che su Facebook per difendere il loro idolo sfidano il ridicolo fino a sembrare, come i fratelli d’Italia dell’inno di Mameli, pronte anche alla morte.

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