Con la decisione di cedere Ansaldo Energia entro la fine di quest’anno, Finmeccanica ha definitivamente rotto gli indugi, cominciando a mettere in pratica la strategia di concentrazione dell’aerospazio, sicurezza e difesa e di abbandono dei settori esclusivamente civili e completamente scollegati con il suo core business.
Su questa decisione si è discusso per un decennio senza risultati e nemmeno la sua ufficializzazione, nel 2011, aveva consentito di fare dei passi avanti in questa direzione. Va quindi dato atto al nuovo vertice aziendale di aver conseguito un primo risultato di grande importanza.
Focus necessario
Alla base di questa strategia vi sono poche semplici considerazioni sulla realtà di Finmeccanica. Questa è stata fino ad ora impegnata in troppi settori. In molti di questi non ha le dimensioni per competere sul mercato globale. In aggiunta, non ha le risorse umane e finanziarie per sostenere adeguatamente tutti questi settori. Infine, ha un livello eccessivo di indebitamento. Il ritardo della riorganizzazione non aiuta, così come non lo sta facendo la riduzione delle spese militari in alcuni suoi importanti mercati di riferimento, fra cui quello nazionale.
Di qui la necessità di una sua concentrazione e specializzazione nelle aree di eccellenza tecnologica dove da sola o in collaborazione con altri partner internazionali potrà continuare a rimanere un player a livello globale.
In questo quadro, è del tutto evidente che le attività puramente civili ed estranee, come energia e trasporti, non potevano continuare a essere presidiate. Nel secondo caso giocano poi negativamente le costanti e rilevanti perdite, nonostante i ripetuti tentativi di porvi rimedio attraverso numerose ristrutturazioni.
Condizionamenti
In questi termini la soluzione era facilmente individuabile, ma l’esperienza di Finmeccanica ha dimostrato quanto sia ancora forte il condizionamento politico e sociale, giocato, per altro, tutto in difesa di uno status quo e di un rinvio senza fine di ogni decisione. Un atteggiamento trasversalmente diffuso fra i nostri decisori politici che, nelle imprese partecipate dallo stato (in Finmeccanica il 30%), assume un potere di veto difficilissimo da rimuovere.
Nello scorso decennio né i governi di centro-destra, né quello di centro-sinistra si sono dimostrati dei saggi azionisti, cercando di tutelare l’interesse nazionale sul piano strategico ed evitando di intromettersi nelle scelte industriali del gruppo.
Hanno, invece, favorito la ricerca della tranquillità sociale, anche se pagata a caro prezzo: nessun licenziamento dei dirigenti incapaci o infedeli (spesso “protetti” a livello politico), né chiusura di impianti inefficienti (e, nei pochi casi avvenuti, tempi poco compatibili con un mercato internazionale sempre più ferocemente competitivo).
Nel contempo, sono pesate la volontà dei vertici aziendali di mantenere una grande dimensione finanziaria (anche se raggiunta a discapito del rafforzamento del core business) e di non contrariare l’azionista pubblico, anche tenendo conto dei risultati economici non certamente brillanti. Il livello di indipendenza è così sceso progressivamente impedendo di fatto, fino ad ora, ogni capacità di manovra.
Lenta agonia
Da qui dovrebbe partire anche una seria riflessione sull’opportunità che in Italia si arrivi al più presto a una completa privatizzazione delle imprese, lasciando allo stato solo i poteri speciali previsti, limitatamente ai settori strategici, dalla nuova normativa del 2012.
L’attenzione per i problemi sociali derivanti dalle ristrutturazioni industriali dovrebbe, infatti, portare a gestire questi processi di trasformazione attraverso l’accompagnamento al pensionamento, la riqualificazione del personale, ma, soprattutto, creando condizioni favorevoli all’avvio di nuove attività nelle aree interessate.
Limitarsi a resistere significa solo una lenta agonia in cui si salvaguardano in qualche modo quanti stanno all’interno a discapito di quanti restano all’esterno (compresi i sub-fornitori) e soprattutto dei giovani in cerca di lavoro.
Questo condizionamento è risultato evidente anche nel caso di Ansaldo Energia dove Finmeccanica ha dovuto pagare pegno accettando di rimanervi, seppure con una quota irrilevante (il 15%) ancora per tre anni.
Per altro la soluzione dell’intervento del Fondo strategico italiano della cassa depositi e prestiti è dichiaratamente interlocutoria perché la società genovese aveva ed ha bisogno non di un partner finanziario, ma di un partner industriale “di mestiere” che garantisca la capacità di investimento tecnologico e l’espansione sul mercato internazionale.
Terapia tardiva
Fin dall’inizio, d’altra parte, la questione è stata impostata male, attribuendo la proposta di cessione alla necessità di fare cassa di Finmeccanica e non, invece, alla sua impossibilità di far fronte ai nuovi investimenti e al supporto che la società genovese richiede per rimanere efficiente e competitiva.
Purtroppo questo si verificherà con molto ritardo, ma nel nostro paese il fattore “tempo” non sembra essere preso in seria considerazione. Così si rischia, però, che un’iniziale terapia, per quanto intensa e dolorosa, non consenta al paziente di riprendersi e, alla fine, si debbano adottare misure molto più traumatiche.
Dopo questa decisione, la presenza di Ansaldo Breda in Finmeccanica ha ancora meno senso perché è rimasta l’unica attività “estranea” e, quindi, la priorità è ora quella di trovare rapidamente un gruppo in grado di integrarla. La sua situazione è talmente compromessa sul piano tecnologico, industriale, commerciale e finanziario che sarà comunque necessario accompagnare ogni ipotesi di soluzione con una rilevante dote.
Solo avendo la certezza che anche questo problema sarà tempestivamente risolto, Finmeccanica potrà affrontare nuove sfide all’interno del suo core business in una logica sia di internazionalizzazione di alcune attività dove da sola non può essere un player, sia di espansione e rafforzamento in Italia e all’estero.
L’aver finalmente stabilizzato il vertice aziendale consente di compiere le scelte necessarie. Il problema non è e non può però rimanere confinato al piano industriale. È necessario che l’Italia definisca una sua strategia nazionale nel settore delle alte tecnologie, assicurando il necessario supporto per la fase di ricerca, sviluppo e industrializzazione a livello sia nazionale sia europeo, a partire dal rifinanziamento della legge 808 che, analogamente agli altri grandi paesi europei, ha consentito di far crescere la nostra industria.
È con questa base tecnologica e industriale nazionale, guidata da Finmeccanica, che anche il nostro paese può partecipare alla costruzione di una capacità europea nell’aerospazio, sicurezza e difesa.