Il prete è pedofilo? Paga la Diocesi. Perché un vescovo è come un normale datore di lavoro: risponde dei suoi dipendenti. Anche quando indossano una tonaca.
È questa la tesi che in Slovenia ha portato il Tribunale Superiore di Maribor a condannare la locale Arcidiocesi al pagamento di 80.000 euro in favore di una ragazza – oggi trentenne – ripetutamente violentata dal proprio parroco quando di anni ne aveva 7 ed in canonica andava per seguire le lezioni di catechismo.
La vicenda era cominciata nel 1990: don Karl Jost, all’epoca titolare della parrocchia di Artie, attira la bambina nel suo ufficio con la scusa dei dolcetti. Chiuse le porte, ne abusa sessualmente. E per un lustro la storia si ripete, fino a quando la fanciulla non trova il coraggio di denunciare. Come lei, si scoprirà successivamente, in quei cinque anni altre 15 adolescenti sono costrette con la forza a soddisfare le voglie del prete. Ne nasce un processo che non approda a nulla, perché l’imputato muore prima del verdetto.
È il 2007: per molte famiglie la morte dell’uomo che aveva rubato l’infanzia alle figlie salda il conto. Ma per una di esse non basta. Si va avanti, in sede civile, reclamando giustizia per la depressione e la bulimia patite dalla ragazza a causa delle violenze subite. Dopo sei anni, arrivano infine la sentenza ora definitiva e la condanna a 80.000 euro di risarcimento.
Una mazzata, per l’Arcidiocesi del capoluogo stiriano, peraltro già segnata dal crack milionario seguito al fallimento delle sue finanziarie «Zvon 1» e «Zvon 2» a seguito di investimenti folli sul mercato immobiliare e nelle fibre ottiche. Ma a far notizia è il principio posto a base della decisione: la Chiesa, paragonata ad una normale azienda, dovrà pagare perchè ritenuta giuridicamente responsabile dell’operato dei suoi sacerdoti, nella visione del Tribunale sloveno proiezione di dipendenti legati all’istituzione ecclesiale non solo dalla fede ma anche da relazioni lavorative.
Insomma, il riconoscimento di una responsabilità oggettiva che qualora dovesse diventare criterio diffuso scatenerebbe pure nel Vecchio ed un tempo cattolicissimo Continente la corsa al risarcimento, sulla scia di quanto avvenuto in America.
In realtà, e per questo negli uffici vaticani è suonato l’allarme attorno ai sacri forzieri, il pronunciamento della Corte slovena pare essere già la cristallizzazione, con forza di giudicato, di un orientamento tutt’altro che marginale. In Italia, a fine agosto, il Tribunale di Bolzano ha condannato la diocesi bolzanina e la parrocchia «San Pio X» a rifondere con 700.000 euro la vittima di abusi di pedofilia consumati da un loro sacerdote, don Giorgio Carli, per il quale la Cassazione aveva dichiarato la prescrizione dei reati riconoscendo però alle parti lese il diritto al risarcimento. E quando la palla è passata alla Sezione Civile del Tribunale, i giudici hanno tirato in ballo l’articolo 2049 del codice civile, quello che disciplina la responsabilità dei padroni e dei committenti: «I sacerdoti – si legge nella sentenza – agiscono in esecuzione del mandato canonico loro affidato».
E poichè il parroco aveva affidato a don Carli il catechismo dei ragazzini, «in capo a diocesi e parrocchia sorge una responsabilità di tipo oggettivo: alla guida degli enti ecclesiastici vi sono il parroco e il vescovo, ai quali il diritto canonico attribuisce determinati poteri-doveri di direzione, vigilanza e controllo».