4 Dicembre 2024, mercoledì
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Federalismo fiscale azzoppato

Spegne quattro candeline, ma sfoggia un bilancio «modesto»: è la legge delega 42/2009 (sul federalismo fiscale) ancora priva di «una settantina fra decreti ministeriali, regolamenti e convenzioni» necessari alla sua realizzazione. E se la riduzione degli stanziamenti ha gradualmente svuotato i contenuti della riforma, gli interventi dello stato centrale (ora sull’Imu, a breve sulla Service tax) continuano a tradirne lo spirito, mentre sui comuni dal 2007 al 2014 «è stata scaricata una manovra finanziaria da 16 miliardi di euro», composta da 7,5 di minori risorse e da 8,7 provenienti dal Patto di stabilità interno. Il restyling della finanza territoriale sconta pesanti ritardi secondo Alberto Zanardi, membro della Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale: per quel che concerne le regioni, riferisce durante il convegno organizzato ieri a Roma da Legautonomie, «non è stato fatto molto in merito alla fiscalizzazione dei trasferimenti statali, così come non è stata messa in atto alcuna valutazione della capacità impositiva standard su Irap e addizionale Irpef».

Si è, dunque, incagliata la 42/2009, «uno dei più importanti provvedimenti delle XVI legislatura» a giudizio di Antonio Misiani (Pd), e «la telenovela sull’abolizione dell’Imu, la cui esenzione totale è iniqua e inefficace, sta gettando nel caos molti sindaci, in difficoltà nella stesura dei bilanci». Il testo, diceva l’ex ministro Giulio Tremonti, avrebbe dovuto «raddrizzare l’albero storto della finanza pubblica», ma per il deputato del centrosinistra «i tagli degli ultimi anni hanno avuto l’effetto di una motosega». Sullo sfondo, commenta Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme, viviamo in una stagione di crisi sia economica sia istituzionale. Ed è importante rivedere la legge elettorale, pur non essendo, lascia intendere, il rimedio di tutti i mali.

La creazione di un Senato contraddistinto «da una netta e chiara estrazione regionale e locale dei suoi membri», sottolinea, permetterebbe ai rappresentanti delle amministrazioni di «partecipare all’attuazione delle politiche comunitarie», nonché di contribuire alla loro elaborazione, assumendo così «un ruolo attivo nella fase ascendente del diritto dell’Ue».

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