Con un ergastolo sulle spalle, il caporale degli Alpini, istruttore di reclute donne nella caserma «Emidio Clementi», casa del 235esimo Reggimento Piceno e terra di conquista per i maschi in divisa, anche davanti ai giudici Appello continua a proclamarsi innocente. Era il 18 aprile 2011 quando Melania Rea, che in realtà si chiamava Carmela, procace bellezza del sud, venne massacrata in un bosco a Ripe di Civitella (Teramo), diciotto chilometri dal pianoro di colle San Marco da dove era sparita mentre si trovava con figlioletta e marito. La trovarono due giorni dopo sotto un albero, la gola tagliata, una trentina di coltellate a straziarle il corpo, una siringa conficcata in un seno. All’apparenza il delitto di un maniaco. Una messinscena secondo gli investigatori. Un tentativo di depistaggio.
Le ombre del sospetto giorno dopo giorno si addensarono proprio su quel marito in mimetica che partecipava alle ricerche con un paio d’occhialoni neri così simili a quelli della moglie, freddo, arrabbiato coi giornalisti, anzi con chiunque si avvicinasse. Muto fino alla reticenza. E bugiardo, a dispetto delle evidenze. Aveva un’amante, ormai fissa, l’ex recluta Ludovica Perrone. A lei giurava che presto avrebbe lasciato la famiglia, che il loro amore avrebbe finalmente potuto crescere alla luce del sole. Telefonate, sms, e-mail incontrovertibili.
Per la prima volta, ieri Parolisi ha trovato il coraggio di alzare gli occhi verso la faccia dei genitori e del fratello della vittima. Più volte, tanto da essere richiamato dal presidente della Corte. Alla fine è riuscito a sibilare qualche parola, quasi supplichevole: «Grazie per quello che fate per la bambina».
Già Vittoria, figlia sua e di Melania, affidata ai nonni materni, altra vera vittima di questo noir ancora non completamente definito. Aveva un anno e mezzo allora la piccina e se il teorema elaborato dall’accusa fosse esatto, lei si sarebbe trovata in quel bosco il giorno dell’omicidio. Probabilmente allacciata nel seggiolone dell’auto del soldato.
Nessuno, nella famiglia di lei, crede all’innocenza del vedovo. Lo ribadisce Gennaro Rea, padre della ventinovenne uccisa: «Salvatore è indifendibile».
Eppure i suoi avvocati non demordono. Nonostante ci si trovi di fronte a un rito abbreviato nel quale le parti tecnixamnete non possono chiedere altre perizie e altri approfondimenti. Solo la Corte ha la facoltà di deciderli.
La difesa di Parolisi, invece, punta a rivedere le prove. «Abbiamo dimostrato attraverso la documentazione di orari, di celle, di testimonianze, di telefonate, che non può aver commesso né l’omicidio, né il depistaggio, non era presente sul luogo dell’ omicidio perché non c’è niente sul luogo dell’omicidio che possa ricondurre a lui», spiega uno dei due legali di Parolisi, Walter Biscotti. Restano poi dubbi sul movente. Questione di soldi e di «ricatti» o il desiderio di una nuova vita? L’ostacolo forse una moglie esasperata pronta a vendicarsi.