25 Aprile 2024, giovedì
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Ahi! Serva Italia di dolore ostello!

Ahi serva Italia, di dolore ostello! Nave senza nocchiere in gran tempesta! Non donna di provincia, ma bordello!

Questa famosa invettiva di Dante Alighieri nei confronti dell’Italia del 300 definita in crescendo “serva”, “nave senza timoniere”, “non signora delle sue province ma casa di prostituzione” era esatta per quei tempi, ma è appropriata anche per i tempi odierni.

Nel 300 l’Italia centro-settentrionale era frammentata in innumerevoli feudi e comuni. Nello stesso periodo l’Italia meridionale e insulare comprendeva il Regno di Napoli, sottoposto alla dinastia francese degli Angiò, e il regno di Sicilia, sottoposto agli Aragona di Spagna. Tra Italia centro-nord e Italia del sud si estendeva lo Stato della Chiesa.

Nei comuni avvenivano scontri molto violenti tra le famiglie dei magnati, le quali disponevano di piccoli eserciti personali. I magnati erano le famiglie dominanti che lottavano per il potere. Tra i magnati di diversi comuni riusciva ad emergere un personaggio forte che sconfiggeva le famiglie rivali ed otteneva l’appoggio dei popolani, Questi comuni a governo dittatoriale furono definiti signorie. Col tempo molti signori ottennero un titolo nobiliare trasformando i loro domini in ducati o principati.
Le signorie che, con la legittimazione da parte dell’imperatore tedesco erano diventate principati, dovettero combattere per la conservazione e per l’espansione territoriale. Non si poteva stare in pace, la lotta per l’esistenza era perpetua. I Principati s’ingrandivano, sparivano, ricomparivano di continuo, tra alleanze, tradimenti, avvelenamenti, matrimoni, assedi e scontri campali. Dante nel prosieguo spiegava che questa condizione così desolata dell’Italia era dovuta alle due somme autorità del tempo, il papa e l’imperatore tedesco, i quali si scontravano sul piano temporale, lacerando il territorio.

Oggi siamo tornati a quei tempi. L’imperatore tedesco si scontra e si spartisce il campo con il Papa forte dei vari spezzoni della vecchia D.C. I passi del sommo poeta sono ancora incredibilmente attuali.

A partire dai primi anni 70 del secolo scorso l’Italia è stata violentemente e con l’inganno sottomessa e sfruttata da paesi stranieri falsamente amici. Nel 1973 Nixon e Kissinger ci hanno imposto la quadruplicazione del prezzo del petrolio solo per vendere quattro volte di più i loro dollari. Nel 1981 con la separazione della banca d’Italia dal Ministero del Tesoro, il debito pubblico italiano è andato a finire per il 40% nelle mani di banche francesi e tedesche e i tassi d’interesse italiani sono diventati i più alti del mondo. Ma nonostante queste aggressioni ce l’abbiamo fatta ugualmente e negli anni 80 sotto la presidenza del consiglio di Bettino Craxi, l’Italia era diventata la quinta potenza industriale del pianeta e la prima potenza industriale in Europa.

Nel 1992 però sono cominciati i problemi seri. Grazie al deprezzamento della lira voluta dal sostenitore del partito democratico americano George Soros due mesi dopo le stragi palermitane, la grande finanza anglo-americana si è venuta prendere a prezzo vile parte del nostro apparato industriale per un controvalore di 220.000 miliardi di vecchie lire. Nel 1999 gli Stati Uniti hanno preteso di vendere anche in Italia tramite le banche italiane i loro titoli tossici. Nel 2001 la Germania ci ha imposto l’euro a mezzo del quale si è più che raddoppiato il costo dell’acquisto del marco. Nel 2005 Francia e Olanda si sono presi due delle nostre maggiori banche nazionali BNL e Antonveneta.

Ora tutti questi passaggi voluti da potenze straniere dagli Stati Uniti alla Germania e alla Francia sono stati sempre favoriti avallati e assentiti da luogotenenti del Papa ossia da esponenti della Sinistra Democristiana Beniamino Andreatta per quanto riguarda la esterizzazione del debito, Oscar Luigi Scalfaro per quanto riguarda la svalutazione della lira del 30% del 1992 ad opera di Soros, Mario Draghi e Romano Prodi per quanto di riguarda la vendita dei titoli tossici americani, ancora Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi per quanto riguarda l’ingresso nell’euro dell’Italia.

Sempre ci siamo ripresi ma non dalle botte che vanno dal 1992 in poi e in particolare dalla botta dell’euro non ci siamo ripresi più.

Euro: inflazione del 100% in pochi giorni, raddoppio del costo del lavoro in pochi mesi, impossibilità di ricorrere alla svalutazione della moneta in caso di difficoltà dell’economia, problematizzazione del debito pubblico con impennata degli interessi a cifre da capogiro. Di contro nessun vantaggio ci è venuto, nemmeno il tanto decantato acquisto delle materie prime a minor prezzo perché nell’ultima fase della lira noi pagavamo il dollaro a 2.100 lire,oggi con il cambio del dollaro a 0.7805 euro è come se pagassimo il dollaro 1.550 di vecchie lire, quindi solo un 20-25% di meno.

Eppure nella serva Italia, di dolore ostello, nessun esponente politico ha oggi il coraggio di ribellarsi all’Imperatore (Usa Sion e Germania) e al Papa (spezzoni della vecchia D.C.) difensori e fautori dell’euro e nessuno ha il coraggio di proporre agli italiani l’unica ricetta possibile che può ancora salvarli dal disastro: l’immediata uscita del paese dall’U.E. e dall’euro.

Si badi bene: questa è una decisione che altri paesi della Unione Europea hanno già preso o stanno prendendo o per lo meno per una parte del loro schieramento politico vorrebbe prendere.

La Gran Bretagna e la Repubblica Ceca, le quali prudentemente erano entrate nella U.E. ma non nell’euro, rinviandone l’ingresso a dopo aver visto l’effetto che fa, non solo non vogliono più sentire parlare di “euro” ma si sono rifiutate di sottoscrivere l’ultimo trattato europeo e quindi si sono chiamate fuori. In Francia i sondaggi danno per vincente alle prossime elezioni politiche il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, la quale ha già detto che come prima cosa, quando sarà eletta, proclamerà l’uscita della Francia dalla U.E. e dall’euro e il ritorno della nazione al franco. I paesi scandinavi (Svezia e Danimarca) anche loro entrati prudentemente nella U.E. ma non nell’euro e non tutti (la Norvegia non è mai entrata né nella U.E., né nell’euro) hanno già detto che di entrare nell’euro non ne vogliono più sapere e quindi – presumibilmente – riproporranno un sistema unito delle varie corone (danese svedese e norvegese).

Difficile pensare che nel tempo la Gran Bretagna non risucchi l’Irlanda e l’Islanda in una piccola Unione Europea anglofona. Così come è difficile pensare che nel tempo la Francia non assorbirà il Belgio vallone, il Lussemburgo e il Principato di Monaco in una piccola Unione Europea francofona (tanto più che sicuramente Monaco e Lussemburgo che fanno tanto affidamento sul sistema bancario, vorranno sottrarsi alla assurda regola comunitaria tedesca per cui non solo i contribuenti ma anche i correntisti devono risanare i buchi contratti dalle banche per via dei titoli tossici). Insomma fra pochi mesi avremo più Europe finalmente dei popoli, un’Europa  anglofona, un ‘Europa francofona, un’Europa Scandinava e la riedizione del grande impero prussiano (Germania e Polonia) unito all’ex impero austroungarico (Austria, Ungheria, Slovenia e Croazia), più alcune appendici nel Mediterraneo tra cui la serva Italia di dolore ostello.

Questo cambia molte cose. Da un alto tutti dovremo prendere atto che il sogno di Adolf Hitelr si è finalmente realizzato. Infatti lo spazio vitale per la Germania ora c’è, il pangermanesimo ora c’è, ma soprattutto si è radicato in Europa quello che era una volta il principale pallino di Hitler: il primato della razza ariana su tutti gli altri popoli europei.

I giornali non informano ma mentre in Grecia la gente si suicida per la disperazione in Germania grazie all’euro nessuno più é disoccupato, la gente vende e compra case, va in vacanza, occupa al 100% aerei e treni di cui la nazione dispone. In  Germania è ripresa alla grande anche l’immigrazione. Il paese sta finanziando, ad esempio, in Portogallo progetti di scuola-apprendistato per giovani , lo stesso ha fatto in Spagna dalla quale è previsto il trasferimento in Germania di 5.000 spagnoli da formare ed eventualmente assumere in Germania. Dalla Spagna quest’anno sono giunti in Germania 20.000 giovani, 34.000 dalla Grecia, 11.000 dal Portogallo, e ben 42.000 dall’Italia. Si punta ad un’azione più incisiva, con corsi di tedesco durante le esperienze scuola-lavoro.

La Germania chiede insomma che i giovani del sud siano appositamente formati in scuole tecniche con corsi di tedesco, e poi inviati a lavorare nel paese tedesco che ha grande e urgente bisogno di manodopera.
Noi invece torneremo a rivedere, dopo settanta anni di storia passati invano, salire i giovani  sui treni delle nostre stazioni con la valigia legata con lo spago, mentre li salutano le mamme e le nonne vestite di nero e in lacrime con lo sventolio della veletta.

Dall’altro lato però quella labile speranza che ancora nutrono i nostri eruosoloni e cioè che la grande Europa vorrà assorbire e spalmare a un certo punto su tutto il territorio europeo il grande debito pubblico italiano, quello portoghese, quello spagnolo e quello greco con gli eurobond, riducendosi l’Europa al solo asse prussiano-austo-ungarico, quella speranza – dicevo – già labile, si spegnerà per sempre.

E allora il nostro debito ce lo dobbiamo pagare da soli.

Come? Non certo con l’euro!

Tutti noi possiamo verificare con quanta difficoltà al momento attuale il governo italiano guidato da Enrico Letta cerchi disperatamente di tagliare 4 miliardi di euro della spesa pubblica per cancellare l’IMU sulla prima casa e altri 4 miliardi di euro per bloccare l’aumento dell’IVA.

Il trattato del fiscal compact voluto dai tedeschi prevede invece che a patire dal 2015 (quindi fra quindici mesi) e per i successivi 20 anni (dicasi venti anni!) l’Italia dovrebbe tagliare la sua spesa pubblica di ben 45 miliardi di euro ogni 12 mesi, (otto moltiplicato per cinque) in modo da riportare il debito pubblico alla soglia del 60% del pil. Oggi quel rapporto è al 120%

Qualcuno è in grado di spiegare allora come potrà – il prossimo governo – tagliare di 5 volte la spesa statale che non riesca a tagliare oggi e ogni anno per 20 anni?

Ridurre di 900 miliardi di euro la spesa pubblica (questo significa tagliare di 45 miliardi l’anno per 20 anni la spesa) significa: dimezzare tutte le pensioni,  licenziare almeno 2.000.000 di impiegati pubblici statali e più di due terzi degli impiegati comunali e regionali, tutti gli impiegati provinciali, cancellare ogni forma di assistenza sociale e ridurre di non meno del 40% tutti gli stipendi del settore pubblico.

Allora, qualcuno può spiegare come farà lo Stato a fare tutto questo?

Se invece usciamo dall’euro la nostra nuova moneta si svaluterebbe tra il 30 e il 50 per cento. Ipotizzando di prendere a esempio le vicende del peso argentino subito dopo il disallineamento dalla parità virtuale imposta rispetto al dollaro (più o meno quello che succederebbe tra Italia e Germania), la nuova lira cercherebbe immediatamente il proprio reale punto di equilibrio. La prime conseguenze sarebbero, nello scenario peggiore, il raddoppio del prezzo di tutti i beni importati. Il carburante potrebbe passare a quasi tre euro. Telefonini, automobili straniere, elettricità, gas dalla Libia, computer dalla Corea e Ipad potrebbero raddoppiare il costo. Ci troveremmo probabilmente a pagare il doppio i pezzi di ricambio delle auto straniere in garage. Su anche il prezzo del caffè e del pane perché incredibilmente importiamo grano. Dall’oggi al domani gli stipendi perderebbero potere di acquisto di un 30% almeno. Però il debito pubblico italiano si svaluterebbe all’improvviso e ci troveremmo in una situazione già conosciuta in passato: avendo, a parità di livello tecnologico, un costo del lavoro più basso di quello dei concorrenti, l’Italia tornerebbe a essere  – forse – di nuovo la prima potenza industriale del continente come ai tempi di Bettino Craxi.

Se la svalutazione interna viaggiasse sulle stesse percentuali, sarebbe una benedizione per lo Stato. Lo Stato taglierebbe e di molto il suo debito.  L’Italia risolverebbe in un colpo solo gran parte dei suoi problemi. Si troverebbe con il 40% di debito in meno, una moneta svalutata e la possibilità di tagliare drasticamente le tasse (s’intende riformando la spesa). L’Italia volerebbe, insomma.
Ma – serva Italia di dolore ostello! – nessun Farage in Italia si vede all’orizzonte.

Beppe Grillo che pure aveva impostato tutta la sua campagna elettorale sull’uscita dell’Italia dall’euro ora ha cambiato idea anche lui: si può rimanere dell’euro – dice – a condizione che i tedeschi facciano gli euobond!

Italia! Non donna di provincia ma bordello! Nave senza cocchieri che ne addrizzano una!

Michele Imperio

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