C’ è un brano del “Vangelo, secondo Luca” che racconta la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro, ovvero del cattivo e del buono, dove al termine della stessa uno è punito e l’altro è premiato.
Questa parabola ci invita a riflettere, poiché essa ci coinvolge un
po’ tutti con le nostre debolezze e soprattutto
con la nostra opulenza: il ricco Epulone rappresenta colui che si
considera onnipotente, e non si cura degli altri; Lazzaro è invece il protettore
dei lebbrosi – da cui lazzaretto: e trasportato nella nostra realtà, oggi i nostri
“lebbrosi” potrebbero considerarsi i malati di Covid 19, costretti
all’isolamento e lasciati morire da soli.
Le nostre realtà
mettono assieme individui spudoratamente ricchi e altri scandalosamente poveri:
assistiamo alla corsa smisurata agli armamenti e contemporaneamente alla
crescita della fame nel mondo.
Ci troviamo di fronte ad una sorta di supersviluppo,
ovvero alla cosiddetta civiltà dei consumi o del consumismo, che comporta
scarti ed inevitabilmente “rifiuti”,
come ha osservato C.M.Martini
in suo scritto di qualche tempo addietro.
Che tipo di economia emergerà da questa pandemia?? Ed in quale
società??? Sarà quella che continua a creare disuguaglianze e disparità oppure
un’economia capace di rincorrere le diseguaglianze? Un’ economia che ci
permetta di dire che “siamo dentro
tutti assieme”, consentendoci di impegnarci per il bene comune, del
singolo e delle comunità? Analogamente a come si è proceduto e reagito col
diritto del singolo alla salute, un diritto che riguarda ciascuno di noi, in
una duplice direzione: degli altri verso
di me e mio verso gli altri, come ha evidenziato G.M. Flick in un suo
documento recente.
E l’architettura come si pone
in questo bivio??
Durante questa pandemia, le varie criticità mondiali sembrano essere
emerse tutte assieme.
Il distanziamento fisico ha acutizzato il distanziamento sociale:
colui infatti che ha potuto usufruire di spazi privati ampi e confortevoli ha
potuto meglio vivere questo lungo
periodo di quarantena, riuscendo a far convivere spazi della vita privata con
quelli dediti al lavoro; ben diverso l’atteggiamento dei nuclei familiari
costretti a vivere in pochi metri, senza poter di usufruire degli spazi pubblici,
intesi come un “prolungamento” del loro vivere quotidiano.
Le Courbusier affermava “che in pochi metri quadrati si sta benissimo
per poco tempo e soprattutto se si sceglie di starci”.
All’architetto allora spetterà il compito di rivedere il concetto ereditato dalle generazioni
passate dell’existenz minimum per
consentire questa molteplicità di funzioni a cui la casa dovrà adattarsi;
ridefinire gli spazi condominiali al fine di consentire il co-housing, ovvero corredare
gli insediamenti abitativi privati con ampi spazi comuni (coperti e
scoperti) destinati all’uso collettivo; ridefinire gli spazi
pubblici in modo che essi possano essere fruibili da tutti garantendo allo
stesso tempo la sicurezza necessaria: un’architettura
per tutti, e non per pochi, questa potrebbe essere la risposta
all’approccio deterministico che bisognerà fare proprio in qualità di essere pensante nelle proprie sfide future.
Concetta Marrazzo, architetto