È un affondo netto, quello di Arturo Scotto D’Attorre, che interviene a difesa dell’Università di Bologna dopo le parole della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Una polemica che, secondo il deputato del Partito Democratico, non avrebbe alcun fondamento e risponderebbe più alla ricerca di un diversivo politico che a una reale questione istituzionale.
Meloni aveva criticato l’Ateneo per il mancato avvio di un corso triennale di Filosofia riservato esclusivamente agli allievi ufficiali dell’Accademia militare di Modena. Una scelta che, nelle intenzioni della Presidente, avrebbe rappresentato un mancato riconoscimento del valore formativo destinato ai futuri ufficiali. Ma la replica di D’Attorre rimette ordine nella vicenda: la decisione, chiarisce, nasce da ragioni tecniche, legate all’organizzazione interna e alla disponibilità di personale del Dipartimento di Filosofia, non da alcuna volontà di chiusura nei confronti dell’Accademia.
Il deputato ricorda inoltre che la collaborazione tra l’Università di Bologna e l’Accademia di Modena è già attiva da anni su diversi percorsi formativi, senza barriere o resistenze. Un rapporto consolidato, che rende ancora più fuorviante, secondo D’Attorre, l’accusa di essersi sottratti a un compito accademico per ragioni ideologiche. L’Ateneo, sottolinea, ha ribadito la propria disponibilità ad accogliere gli allievi ufficiali nei corsi regolarmente attivati: porte aperte, dunque, a chi voglia integrare la propria formazione con studi filosofici.
“Non c’è bisogno che la Presidente del Consiglio ricordi ciò che è ovvio: che l’arricchimento culturale dei futuri ufficiali sia un fatto positivo”, afferma il parlamentare dem, giudicando la polemica del tutto sproporzionata. E se davvero si vuole sostenere il ruolo degli studi umanistici e delle università pubbliche, aggiunge, il terreno non è quello delle accuse estemporanee ma delle scelte politiche concrete.
Da qui la stoccata finale: D’Attorre invita Meloni a misurarsi con le condizioni reali del sistema universitario, segnato da anni di sottofinanziamento e vincoli crescenti. Richiama il progressivo calo del rapporto tra investimenti pubblici e PIL, la stretta sui concorsi e sulle nuove assunzioni, l’aumento della precarietà tra giovani ricercatori e il sostegno crescente agli atenei telematici privati, spesso guidati da logiche di mercato piuttosto che da criteri di formazione pubblica.
Una risposta che trasforma una controversia contingente in un tema più ampio: il futuro delle università italiane. E che, nella lettura del deputato, sposta l’attenzione dalla polemica politica alla responsabilità di governo verso uno dei pilastri del sistema educativo e culturale del Paese.

