Un post choc, poi il buio. Così un professore campano è sprofondato nel vortice della vergogna e della disperazione. Dopo aver augurato la morte alla figlia della presidente del Consiglio Giorgia Meloni in un post pubblicato su Facebook — un riferimento agghiacciante al tragico femminicidio della 14enne Martina Carbonaro — l’uomo ha tentato il suicidio. Ora è ricoverato in ospedale, in condizioni stabili, e ha scritto una lettera alla premier chiedendo perdono.
Il docente, Stefano Addeo, insegna in un istituto superiore di Marigliano, in provincia di Napoli. Qualche giorno fa, in un post poi rimosso dai social, aveva rivolto parole gravissime nei confronti della figlia della presidente del Consiglio. Una frase scioccante, che evocava un tragico episodio di cronaca, quello dell’omicidio della giovane Martina Carbonaro ad Afragola, uccisa dal suo ex fidanzato. Il contenuto, divenuto immediatamente virale, ha scatenato una bufera politica e mediatica, culminata con la sospensione dal servizio del docente e l’avvio di accertamenti da parte delle autorità scolastiche e giudiziarie.
Schivato il clamore mediatico, è seguita la caduta. L’uomo ha ingerito una dose massiccia di farmaci nel tentativo di togliersi la vita. Prima del gesto, ha contattato la dirigente dell’istituto dove lavora, confidandole quanto stava per fare. La preside ha allertato i carabinieri che, intervenuti prontamente, hanno trovato il docente ancora in vita nella sua abitazione. Trasportato d’urgenza all’ospedale di Nola, è stato ricoverato in codice rosso. Al momento, secondo quanto trapela da fonti sanitarie, non sarebbe in pericolo di vita.
In una lunga e accorata lettera indirizzata a Giorgia Meloni, Addeo ha provato a spiegare le ragioni del suo gesto, tra dolore, pentimento e bisogno di espiazione. «Le chiedo, se possibile, di potermi incontrare per poterglielo dire guardandola negli occhi» scrive, assumendosi ogni responsabilità per quanto accaduto. «Non c’è giustificazione possibile per le parole scritte — ammette —. È stata una frase infelice, inadeguata, inaccettabile, che non mi rappresenta né come uomo né come educatore».
Nella missiva, il professore racconta anche il difficile contesto personale in cui si trova: la solitudine, il carico familiare, l’accudimento dell’anziana madre, la pressione psicologica. Ma non si sottrae alla responsabilità morale del gesto: «So bene che nulla può cancellare il male fatto con quelle parole. Solo la verità, il pentimento e il rispetto possono servire, ora».
Il punto più doloroso è il passaggio in cui Addeo chiede perdono direttamente alla premier, per l’offesa recata non solo a lei, ma soprattutto a sua figlia: «Chiedo scusa per il gesto che ha ferito Lei e la sua famiglia, e in particolare Sua figlia, che mai avrebbe dovuto essere tirata in ballo in alcun modo».
L’intera vicenda riapre un interrogativo profondo sul ruolo della responsabilità, delle parole nei luoghi pubblici e sull’uso distorto dei social. Ma accende anche i riflettori sulla fragilità psicologica che può annidarsi dietro il gesto impulsivo, sul senso di colpa e su un pentimento che arriva troppo tardi per evitare il dolore, ma non per restituire — forse — un’ultima possibilità di umana redenzione.