A cura di Gilberto Borzini
Da quando è nata la Repubblica italiana, il Ministero del Turismo non si è mai distinto per efficacia o efficienza. Non sorprende, dunque, che a un certo punto si sia deciso all’unanimità di eliminarlo. Il turismo italiano è rimasto, in larga misura, appannaggio dei campanilismi locali, delle capacità imprenditoriali territoriali e delle opportunità di investimento create da capitali di varia provenienza. Si procede a intuito, seguendo simpatie personali e interessi particolari, senza una vera strategia nazionale.
Un confronto impietoso con i vicini europei
Manca, e da sempre è mancato, quel dirigismo che in Francia orienta gli investimenti e quell’organizzazione che, nella Spagna post-franchista, ha trasformato il turismo in una risorsa nazionale. La creazione di grandi distretti turistici lungo il Mediterraneo, alle Baleari, alle Canarie, insieme a zone economiche speciali, ha permesso ai nostri vicini di valorizzare il loro patrimonio e di proiettarsi come leader del settore.
In Italia, invece, si perpetua una politica di “presenza assente”. La Ministra del Turismo attuale, erede di una tradizione di immobilismo, si limita a presenziare a inaugurazioni, a promuovere costose cene all’estero organizzate dall’ENIT e a raccontare vaghe narrazioni. Ma di una pianificazione seria e di lungo termine non c’è traccia.
La mancanza di una visione strategica
Questa assenza di programmazione non riguarda solo il turismo, ma tutta la politica industriale del Paese. Dalla dismissione dell’IRI in poi, l’Italia ha perso pezzi fondamentali della sua industria: chimica, farmaceutica, agroalimentare, siderurgia, tessile e telecomunicazioni. Ultimo schiaffo, la cessione di ITA Airways a Lufthansa, che suggerisce un futuro in cui persino le ferrovie potrebbero finire nelle mani dei concorrenti tedeschi.
Resta solo il turismo come “industria nazionale”, sebbene crescano voci contrarie a una completa turistizzazione del Paese. Tuttavia, per rendere il turismo un settore realmente competitivo e sostenibile, sarebbe necessaria una politica strutturata, capace di creare distretti territoriali con vocazioni specifiche, estendere le stagionalità, e magari sviluppare parchi tematici per attrarre nuovi mercati.
Un governo che confonde il liberismo con l’abbandono
Invece, si assiste a un totale immobilismo. L’attuale classe dirigente sembra confondere il liberismo economico con un laissez-faire assoluto, simile al “Fate un po’ come vi pare” che Luigi XIV propose ai suoi sudditi. Ma il problema non riguarda solo chi è al governo oggi: anche chi li ha preceduti ha commesso gli stessi errori, dimostrandosi altrettanto inadeguato.
Di conseguenza, le dimissioni della Ministra del Turismo sarebbero inutili: la sua presenza è talmente irrilevante da rendere irrilevante anche la sua eventuale uscita di scena. Certo, ci sarebbe una questione di etica, ma ormai sembra che questa parola abbia perso ogni significato.
Conclusione: una riflessione amara
In un Paese con un potenziale turistico ineguagliabile, l’assenza di visione strategica rappresenta un’occasione mancata dietro l’altra. Finché continueremo a navigare a vista, senza un piano, ci troveremo costretti a guardare altri Paesi valorizzare meglio ciò che noi ci ostiniamo a trascurare. Un’amara ironia per una nazione che dovrebbe essere leader naturale nel turismo globale.