19 Aprile 2024, venerdì
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ECONOMIA, RIFORME, EUROPA ​TROPPE DIFFICOLTÀ, C’È IL RISCHIO ​CHE RENZI VOGLIA RISOLVERE TUTTO ANDANDO ALLE ELEZIONI

Renzi è un politico che coniuga la capacità tattica, di cui è dotato in modo inversamente proporzionale a quella strategica, con la vocazione del giocatore di poker. Inoltre eredita un sistema politico che negli ultimi due decenni ha creato quella che potremmo definire una “democrazia declamatoria”, basata sulla negazione formale del potere – che ha cancellato il senso della responsabilità politica e creato forme di potere surrettizie quando non occulte – ed esclusivamente orientata alla ricerca e raccolta del consenso, e come tale produttrice di “non governo”. Inevitabilmente, il combinato disposto delle due cose spinge Renzi, il suo governo e l’embrione di sistema di potere che intorno a lui si sta coagulando a forzare la mano e i tempi di un cambiamento in sé salutare ma che richiede, per non essere solo distruttivo, di possedere una chiara visione di ciò che si vuole costruire in alternativa. Definire tutto ciò un attentato alla democrazia e attribuire a questo processo di trasformazione l’obiettivo di arrivare ad una dittatura, come una certo filone mediatico-intellettuale sta facendo, è un evidente forzatura, che tra l’altro finisce col rafforzare proprio chi s’intende combattere. Evidentemente il lupo perde il pelo ma non il vizio: lo si è fatto per anni puntando il dito accusatorio contro Berlusconi, e il risultato è stata benzina nel motore del Cavaliere e costruzione di processi giudiziari che, come dimostra l’assoluzione – ineccepibile – sul caso Ruby, non reggono alla prova della magistratura giudicante.

Dunque, sgombriamo il campo dalle sciocchezze, e parliamo di cose serie. Il vero tema è quello individuato negli ultimi giorni da un paio di articoli pregevoli di Galli Della Loggia e da uno non meno acuto di Salvati: di che pasta è fatto Renzi, cosa ha in testa e cosa serve al Paese in questa fase in cui si gioca tutto, sotto il profilo economico, della tenuta sociale, della modernizzazione istituzionale e amministrativa. Noi siamo convinti che si sia commesso l’errore di non dire la verità al Paese sulle sue reali condizioni di salute e che, di conseguenza, dopo aver evocato mille idee suggestive e usato la tattica di lanciare continuamente la palla in avanti senza badare a far goal, si voglia puntare alle elezioni anticipate nel più breve tempo possibile. Perché da un lato, il Renzi politico, a discapito del Renzi statista, vuole tradurre in forza parlamentare sua quel 41% che – inaspettatamente anche per lui – ha preso alle europee, e perché, dall’altro, il Renzi presidente del Consiglio vuole scavallare il 31 dicembre senza manovre correttive a suo carico ed evitando che le molte contraddizioni in cui il governo è caduto diventino palesi agli occhi dell’opinione pubblica. Anche qui, non c’è da scandalizzarsi se la dimensione mediatica prevale su quella programmatica – purtroppo, succede ormai stabilmente in tutte le democrazie occidentali, sempre più intrise di populismo e peronismo – ma certo non può essere l’unico faro che illumina l’azione del governo e l’unico metro di misura dei suoi risultati. È stato così con Berlusconi, e il disastro è sotto gli occhi di tutti. E, seppure con modalità meno sfacciate, è stato così anche negli anni del centro-sinistra, con l’aggravante che taluni obiettivi erano sbagliati in partenza e che alcune componenti della sua eterogenea maggioranza erano vocate solo all’opposizione quando non all’antagonismo duro e puro.

Ora, però, la somma tra scelte di politica economica di scarso respiro – i cui risultati sono misurabili con i numeri del pil, che definiscono una deludente “non ripresa” – l’affastellarsi di provvedimenti, spesso un po’ dilettanteschi nella loro formulazione, che sono andati a creare un micidiale “ingorgo legislativo” da cui non sarà facile uscire a discapito degli impegni presi (Senato, legge elettorale, titolo quinto della Costituzione, province, ecc.), e gli inciampi sul terreno europeo (“caso Mogherini” ma ancor di più “caso Letta”) che fanno significativamente scrivere di Renzi all’Economist “inexperience, improvisation and moments of vacuity”, sono macigni del cui peso il furbo e veloce presidente del Consiglio intende assolutamente liberarsi. E per farlo ci sono solo due modi: o cambiare registro, o approfittare degli errori altrui per imbastire una bella campagna elettorale in stile berlusconiano. Come? Vittimizzandosi. Se ci pensate, non gli sarebbe difficile. Primo: le opposizioni interne alle due maggioranze, quella sua (i ribelli del Pd) e quella rappresentata dal “patto di sindacato” neanche troppo occulto con Forza Italia (i malpancisti ostili a Verdini e al cerchio magico berlusconiano), lungi dal rappresentare un problema, gli consentono di dire agli italiani che così il Paese non si può governare e che devono dargli una maggioranza salda e tutta sua per poterlo finalmente fare. Secondo: l’ostilità sempre più evidente delle cancellerie europee sarà pure un fastidio al suo ego, ma consente a Renzi di raccontare ai suoi concittadini che quella egoista della Merkel e quei burocrati mangia pane a tradimento di Bruxelles e Strasburgo ci stanno affamando e che occorre dargli più forza per vincerli nella tenzone che contrappone i membri del club dell’euro. Terzo: se poi ripartisse, come non è da escludere, lo spread e la pressione speculativa sui nostri titoli di Stato, ecco un altro buon motivo per sollecitare il consenso di un Paese che avendo scelto – e qui sta il capolavoro politico-mediatico di Renzi di questi mesi – di avere fiducia pressochè cieca nell’unico soggetto rimasto sulla scena dopo la fine della Seconda Repubblica e il fallimento dei governi di transizione di Monti e Letta, non disposto così facilmente a disinnamorarsi. Solo che bisogna far presto. Se non capiamo male, fosse per lui urne anche subito. Ma tra semestre europeo e freno (sempre più allentato, però…) del Quirinale, la data più probabile è quella di marzo 2015. Domani, se ci pensate bene.

Certo, se Renzi imposta una campagna elettorale di stampo berlusconiano dopo essere stato a palazzo Chigi con modalità berlusconiane, può darsi che lui ne esca vincitore, ma di sicuro l’Italia ha tutto da perderci. Per questo speriamo – senza troppa convinzione, però – di sbagliarci.

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